martedì 3 febbraio 2009

Sabbia



Un sudore strizzato, sabbioso, acre, gli appiccicava la divisa lungo la schiena. Camillo era stato tutto il giorno al telegrafo. Correva, la strisciolina di carta, ora un tratto, ora due punti. Arrivava ad intrecciare gli occhi. Avvezzo alla traduzione, Camillo leggeva dispacci, trasformava comandi, informazioni, notizie. Erano a pochi chilometri da Addis Abeba. Sotto una lampadina flebile, dalla luce sinistra, interrotta dai lampi diurni di una tenda che si apre e che fa entrare il deserto a scartavetrarti la gola, stava, mio nonno alla fine del suo turno. Si alzò dalla sedia brontolando e si stese sulla branda, lasciando il posto al compagno. Una vecchia copia della Domenica del Corriere, ingiallita dal passaggio di mani, era l’unico diversivo ai notturni silenzi del deserto. “Chi cazzo sono questi Ascari?”, fece Camillo, novello Don Abbondio alle prese con Carneade. Girò le pagine distrattamente fino a quella dove, una vecchia stampa d’epoca, ritraeva il Barone Ricasoli, sotto le sue vigne. Il pensiero andò ai genitori, a Pennadomo, al padre Nicola, anche lui stava rientrando dalla vigna. Lo vedeva risalire le scalette sotto al paese, portandosi dietro Rosina, l’asina, carica di verdura e legna. La coppoletta calata sulla testa e il mezzo toscano spento, in bocca. Quella sera c’erano le prove con la banda e nonnò mormorava la sua parte di bombardino, tra i denti. Camillo vedeva il padre fermarsi davanti la porta dell’osteria, sulla piazzetta Orientale. Il rumore dei ferri di Rosina sarebbe bastato a far uscire nonn’Anna dalla porta, nonno Nicola non consumava più di due parole con lei. Sulla porta dell’osteria c’erano due fraschette con una bottiglia vuota, a significare che lì si beveva.
“Chi ci stà dentro?” avrebbe chiesto come al solito nonno Nicola. Se nonn’Anna parlava, erano amici e quindi nonno Nicola le avrebbe comandato di prendere “il vino” tirando nervosamente il capo da un lato, se nonn’Anna non parlava ma accennava ad un gesto enigmatico, erano stranieri e quindi sarebbe stato nonno a prendere il vino. Fatto questo nonn’Anna sarebbe rientrata in osteria e nonno sarebbe sceso a rimettere Rosina alla stalla, poi, si sarebbe recato in cantina, dove c’era la vecchia botte di castagno, piena di vino che aveva preso la via dell’aceto. Mentre nonno riempiva la bottiglia, con una smorfia di disappunto per tutto quel ben di Dio rovinato, nonn’Anna intanto, portava subito un bel piatto di finocchi, per addormentare la bocca degli avventori. Nonno risaliva con la bottiglia di vino in mano ed un flebile sorriso da figlio di puttana, sotto i baffi. Camillo steso sulla branda, rise ad alta voce, come se un telone di cinema gli avesse riproposto la scena sotto gli occhi. Si girò il compagno, con uno scatto di sorpresa, ad interrompere il monotono ticchettio della trasmittente: “Camì, che minchia ti ridi?”. Ma Camillo non rispondeva più, dormiva con l’ultimo pensiero per Adele…
In quei giorni al campo c’era stato grande fermento: durante una battuta di perlustrazione era stato ritrovato un campo di italiani, caduti durante un’imboscata; tra le vittime vi era un fotografo. I nemici non avevano toccato le sue attrezzature, limitandosi a saccheggiare solo viveri e ciondoli. Tra i compagni di Camillo c’era uno di Varese, che nella vita borghese, faceva l’aiuto fotografo in un grande studio della città. La compagnia di Camillo era accampata vicino al villaggio della loro guida, un negrone alto e statuario che sembrava quasi un Masai. Stavano in un posto tranquillo e c’era tutto il tempo di cazzeggiare con l’attrezzatura fotografica. Iniziarono a sviluppare vetrini ed a stampare, quello che la vittima aveva involontariamente lasciato loro in eredità. Scoprirono che il fotografo ucciso, era un sorta di etnologo, che stava effettuando studi sulle popolazioni ribelli della regione. Si era accodato ad una compagnia in avanscoperta, con la speranza di essere al sicuro, ma aveva trovato una dolorosa morte, sotto la lama di una banda di predoni, in attività, durante quei confusi giorni di guerra. Camillo aiutava volentieri il fotografo di Varese, anche perché era un bel modo di passare i momenti di riposo. Fu grande lo stupore, quindi, al constatare che una serie di negativi erano dedicati esclusivamente al Negus. Lo avevano immortalato in tutte le pose: impugnando un mitragliatore, al comando di soldati sul cammello, in piedi, sopra un cumulo di cadaveri di ribelli.
La buonanima del fotografo, aveva anche lasciato loro, una serie di vetrini vergini. Pensarono immediatamente di utilizzarli, per fare fotografie a tutta la compagnia. Il sottotenente, che si dilettava a dipingere, creò uno sfondo con un vecchio lenzuolo. Due reclute mantenevano il lenzuolo e, a turno, ogni soldato si faceva fotografare in divisa. Camillo e gli altri avevano notato che la zona tra le loro tende ed il villaggio, dopo i primi giorni, di diffidenza, si era animata. All’inizio si erano avvicinati i bambini, poi qualche vecchio, alla fine delle ragazze. Si mantenevano sempre a debita distanza, ma erano curiose di vedere quegli uomini, simili nei sorrisi ai loro giovani, ma bianchi, in divisa, sempre indaffarati a fare qualcosa di cui loro non capivano il significato. Erano delle bellezze che Camillo non aveva mai visto. Nascosti i loro corpi a malapena, da piccoli reggiseni di pelle e gonne formate da fili di piante, simili a stuoie di paglia, il nero della loro pelle, colpito dai raggi del sole, creava riflessi morbidi, come se la luce avesse rischiarato le rocce scure e bagnate di un torrente. Camillo, aveva visto, fino ad allora, Adele, ma l’aveva vista rigorosamente vestita. La figlia della speziale, portava quei lunghi vestiti, incorniciati dai pizzi che lei stessa faceva, con quelle pettinature scolpite fra fermagli d’osso. Cipria e rossetto, sugli incarnati di madreperla ad esternare tremebondi e vulnerabili pudori, a chiudere fortezze facilmente espugnabili, in qualche bosco estivo vicino al Sangro. Pensando ad Adele, Camillo era inebriato da tanto innocente scoprirsi delle carni, da parte delle ragazze del villaggio. Comprendeva la naturalezza dell’appartenere alla terra ed allo stesso tempo era combattuto dalle visioni di riti ancestrali, veli e statue in processione, della sua terra d’Abruzzo. Ma aveva quasi vent’anni. Erano lontani da casa. Le fidanzate, le madri, le promesse spose, erano lontane mille e mille miglia. Anche Adele, quasi avesse potuto avere un cannocchiale per veder quello che Camillo poteva combinare.
Le ragazze del paese si avvicinavano ogni giorno di più, allontanando il senso del peccato ogni giorno di più. Fino a quando, un giorno, il varesino trovò il modo di avvicinare le fanciulle e chieder loro di scattare qualche foto. Fu un tripudio di gioia e risate. Furono fotografie di giovani a torso nudo che abbracciavano ridendo, quelle sculture eburnee e generose. Camillo dimenticò Pennadomo, voleva eliminarla, nel tremore dei sensi che si svegliavano, che esplodevano, che fiaccavano le notti dei soldati. Voleva odorare corpi nuovi, bocche, tastare membra che aveva visto solo in qualche volume di Salgari. Quella notte…
Era una giovane, figlia di un vecchio cacciatore del villaggio. I silenzi della distesa africana, erano interrotti solo, da qualche colpo di artiglieria lontano. Girava ancora inebriato dai brindisi a base di pessimi distillati, trovati nella dispensa. La ragazza lo aspettava. Lo prese per mano. Era frastornato, eccitato, si lasciò andare. Guardava la luce nitida della luna africana, illuminare il nero di quelle gambe, come di pece che lo tenevano stretto, senza dire parole, perché non sarebbero servite. I seni della ragazza, si puntavano sul suo petto. Conobbe un amore, il solo, disinteressato, libero, senza domani, senza religioni, né rimorsi. Rimasero le foto. Le aveva nel cassetto della sua vecchiaia.

1 commento:

  1. Bello Favollo! I tuoi racconti mi piacciono sempre molto. Ovviamente quelli che conosco li ho letti su quel giornale locale. Avevo già letto di Nonn'anna e credo forse anche di Camillo. Bellissimo appunto il racconto del limone e della banda del paese. Se voi altri lettori non lo conoscete, chiedetelo al Favollo! :-)

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