sabato 6 aprile 2019

Il cavaliere rosso


La prima memoria che ho di un oggetto a ruote è di un ciuchino di plastica rosso con le orecchie che si giravano. Il giochino che dovevo spingere con i piedi, mi consentiva grandi avventure lungo il corridoio dell’appartamento in via Ronchi a Milano. Non era facile, a quell’epoca avevo due o tre anni. Il problema era dato dal fatto che fosse consuetudine per le brave padrone di casa, passare la cera sul lugubre pavimento di marmo e questo impediva il giusto grip che mi consentisse di darmi una spinta sufficiente. Mia zia e mia madre, un giorno, si divertirono a vestirmi con una ridicola cuffietta che mi faceva sembrare uno di quei cicciobelli da collezione. Avevo dei lacrimoni incredibili. Fu quella l’occasione per fotografarmi in quella tenuta che mi avrebbe lasciato un trauma per il resto della mia vita insieme a un desiderio represso di fare la drag queen. Le orecchie di quel cavallo fungevano da calmante per il dolore causato dai miei denti che crescevano in modo disordinato. Le masticai fino a scolorirle. Tuttavia l’asinello fu un buon inizio. La sorpresa maggiore si presentò quando ci trasferimmo in un appartamento al piano terra, sempre nella stessa via. L’appartamento aveva un giardino, nel quale era piantata una bellissima magnolia. Il piccolo pezzo di terra, relativamente spoglio si affacciava direttamente sul marciapiede e sulla strada. Andavo ancora all’asilo e, in quel periodo, mio padre aveva acquistato un maggiolino rosso. Una sera i miei genitori si presentarono a casa con uno scatolone enorme. Figuratevi il mio stupore quando, aperto il contenitore, vidi quella bellissima replica della macchina di papà, dotata di un paio di pedali di ferro. Quello che diede da pensare ai miei familiari fu che, passati i primi attimi di gioia, riversai la mia attenzione verso lo scatolone, lasciando perdere per una decina di giorni il contenuto. Della macchinina non me ne fregava niente. Volevo inventarmi le avventure più incredibili in quello scatolone. Mi sono sempre chiesto cosa mi passasse per la testa: preferire in contenitore al contenuto. La scelta, cosa che ho realizzato dopo tanto tempo, non fu dettata dalla superficialità tipica di un atteggiamento infantile ma dallo scoprire le potenzialità creative dello scatolone: con quel coso a forma di cubo inventai le migliore avventure che un bimbo solo, nella sua cameretta, di pomeriggio, avrebbe potuto inventare. Una nave, un castello, un rifugio, un fortino. Un oggetto che nella sua essenzialità era potenzialmente trasformabile in tante cose. Scesi nuovamente sul piano terra quando mio nonno acquistò per me la prima bicicletta: era una Graziella blu con un paio di rotelline grigie. Rimasi sconcertato che fosse piegata in due, in seguito scoprì che si poteva congiungere tramite una cerniera al centro del telaio. Scorazzavo intorno alla palazzina del Torrione a L’Aquila, insieme ai miei amici dell’estate: Patrizio, Stefano, Cesare e Mauro. Fino a quella sera quando, levate le rotelline laterali, dopo vari tentativi, riuscì a pedalare tenendomi in equilibrio. Capì che era iniziato qualcosa d'importante per me nel momento in cui, per l’emozione, un piccolo rivolo caldo mi scese lungo una gamba..