sabato 31 gennaio 2009

La strada della memoria

Dedicato alla mia Guzzi


Sono steso accanto a lei. La paglia, sotto il mio corpo, scricchiola a riempire il rotondo silenzo dell'ambiente. È il mio respiro regolare si nutre a stento dell'aria di legna da ardere, residui di stallatico ed odore di cuoio antico ed un altro, penetrante, afrore, decifrabile tra tanti, della testata di un V7 appena spento.. È odore acido di benzina ed olio esausto, è odore di pneumatico e polvere di ciglio stradale, è odore di vecchie guarnizioni e grasso. Un`entità calda , nel buio, chiusi io e lei tra le mura di pietra di questa stalla, in un paese del basso chietino.Ma dalla feritoia di una grata polverosa, il taglio di una luna benevola e pigra, illumina il vecchio vascone, un tempo protagonista di mosti e bolliture.Allora, come a ricordare di non essere solo, un leggero cono luminoso, nel pulviscolo, schiarisce il serbatoio della mia compagna. Sembra stanca, come me, nella inanimata calma del metallo, mi sembra di scorgere la linea flessuosa di una schiena animale, a riposare dopo il giogo diurno. In questa stalla la mia moto è l`animale che qui fu sessant`anni fa a riposare dalle fatiche nei campi a seguito del mio bisnonnno Nicola.Nel tramonto, sulla strada della frana, da Villa Santa Maria a Pennadomo, andavano l`asina Rosina e lui a riportare il frutto del lavoro, a casa all`osteria, dove nonn`Anna aspettava, senza la pazienza , perché non c`è bisogno di pazienza, quando devi ricordare di caricare l`orologio a molla. I querceti regolari, dalle chiome leggermente inclinate a valle, verso il nuovo lago, che aveva rubato a Nicola la campagna e la masseria, per pochi soldi. La bruna luce, della linee dei monti Pizi colorava I tronchi, le fronde, di ocra secchi, di rossi carichi, di gialli austeri. Ora, la mia V7, bagnata dalle linee sincere del sole d`autunno , riflette piccoli abbagli rotondi, sul cromo dei paramotori, dei parafanghi, appena ammaccati, sulle molle a vista, sui cerchi lucidi...A girare lo sguardo a destra, mentre nonno teneva la cavezza dell`asina, senza il pensiero all`animale, che ormai sapeva la strada verso la biada, la mia divide con l`anteriore le due rette nuvole di polvere dalla massicciata ghiaiosa di pietre bianche di montagna. Nonno, tra le labbra un sigaretto Cavour, a ciucciarlo come preziosa reliquia, lo aveva acceso al mattino per dargli due tiri dopo la colazione a base di pane , peperoncino, ventricina e due sorsi di quello buono, non di aceto che rifilava agli avventori dell`osteria insieme ai finocchi per camuffargli il sapore.L`asina lo guardava seduto sotto la grande quercia secolare a consumare il pasto. Gli stava di fronte con I grandi occhi silenziosi, cerchiati, ad aspettare un pezzetto di pane, una carezza, un brontolio del vecchio. Nonno la osservava, domandandosi da dove venisse tanto cieco e devoto affetto dell`animale per lui, che la trattava come un mezzo di trasporto. Mi fermo anch`io sul ciglio della strada dove il posto della quercia è segnato da un cartello stradale ed un paracarro coperto di ruggine e corbezzoli. Mi fermo. il motore gira in cerca della presa al terreno sconnesso, ma nulla può contro la mia frizione tirata. Mi siedo, come faceva nonno, verso il lago, ormai nota visione. L`occhio ebete della mia V7 mi guarda senza emozione, ma devozione fredda, il colore delle fiancatine sembra cercare la stretta morsa delle mie gambe. Il fantasma della grande quercia, fatta saltare con la dinamite , sembra protendere la sua ombra sulle nostre teste e testate. Nonno Nicola piangeva quel giorno. Prima di mettere le cariche, si stesse sul cerchio del tronco ormai abbattuto dai cantonieri e allungo` il braccio a contare e ricontare I cerchi della vita per due ore filate.La quercia aveva più di cinquecento anni. Nonno penso che l`albero era più vecchio di Cristoforo Colombo, dei quadri di Leonardo. E la quercia era stata sua, quell`albero era un pezzo di storia nella sua terra, un pezzo di storia dell`Abruzzo, a cui non a aveva mai badato fino a quel giorno. Quel dito puntato e ripuntato su quel cerchio sembrava il cardano sulla ruota della mia V7 a girare su questa strada. Maledisse la strada nonno, la strada che gli aveva tolto la quercia, l`ombra ed il ristoro dei suoi giorni di calura, nel vigneto, nell`oliveto, nel pratone a fare l`erba.Quella strada doveva andare a valle, nel lago. Gli dettero ventimila lire a nonno e lui ci si comprò un bombardino nuovo, per suonare nella banda del paese. Si iniziò a dire che la strada fosse piena di demoni, da quando non c`era più la grande quercia proteggere I viandanti , la notte, tanto che zio Nino, era andato a finire, sotto ad un fosso con il carretto ed il mulo, perché gli erano apparsi all`improvviso. Gli stessi demoni si attaccno al vetro dei miei occhialoni, mi tirano il manubrio, mi fanno tremare le mani, mentre corro consumando le pedane contro I sassi. È il manto stradale, un demone bianco che consuma le ruote, ti trattiene fino alla terza, fa rantolare il motore, fa cigolare I vecchi ammortizzatori. spacca le ossa. e` la stessa spina dorsale di mio nonno che zappava, maldicendo quella strada, quel lago che gli aveva portato l`umido fino al collo e le nebbioline spossanti dellla mattina. Sterzo di colpo. La moto si imbarca e dà di sedere sulla ghiaia.Dall`alto della rupe scoscesa in venature giallo rossastre, le capre tirano I sassi sul ciglio dello strapiombo. La fontana in coro col minimo del motore. Non si passa. Davanti al muso dell V7, la lingua di detriti ed immondizia, continua lenta, a scendere a valle, ogni ora diversa, ogni ora piu` in basso.Sembra che la montagna vomiti sassi, da un profondo infinito. Pennadomo è di fronte. Le rocce grigie di scolatura, come lastre di porfido schiarite si incastrano alle case arroccate come molluschi allo scoglio. sono pochi metri, ma non c`è guado. Torno indietro. Dalla finestra del Palazzo più grande, si sveglia nonno, di notte.Quel dolore alle ossa lo tiene in piedi. Apre la finestra, La luna, gli illumina la grande parete che sovrasta il paese.Brilla la croce sulla cima. La pietra gli nasconde le acque del lago, cerca con lo sguardo cieco della notte , l`enorme fronda del grande albero invano. Si alza la civetta in volo a leggere I suoi pensieri. Domani andrà a Torricella dal dottore. Rosina non ha bisogno di fruste, conosce la spalla del passo cadenzato di Nonno Nicola e sale per la strada di Torricella. Non ha bisogno di spinte tranne quella volta che ci andarono a vendergli l`unico suo nato. Fu dato ad un tizio che si rimetteva Fante di cognome e si diceva che avesse un parente diventato un famoso scrittore nelle lontane Americhe. Al ritorno Rosina continuava a voltarsi, come sperasse vedere quel suo unico puledro ritornare da lei. Ora il lago è a sinistra.Arrivo con leggera discesa a Villa Santa Maria.. Una lunga striscia di cemento taglia lo spettro d`aria sul paese. Ero ragazzo. Andai un giorno sotto I plinti del mostro a vedere l`opera. Pensai alla dolce strada da Borrello, dove Nonno Nicola correva fino ad Agnone con il postale a trovare I parenti. Si aprono tra I boschi bassi e le colture, ampii spazi di fattorie e casati di calce scrostata. Le querce spandono un manto terroso sul bordo della strada e friggono al passaggio della ruota della V7. L`odore di muschio ed arbusti bagnati , un orizzonte senza vedute, come a serrare la gola, in attesa dell`aperto, costringe alla guide di gambe. Ogni tanto qualche auto di contro, ti stringe la curva, poi l`autista si gira a vedere quell`antico prodigio meccanico, ancora sula strada, dopo quaranta anni. Vorrei entrare, nel cuore dell tranquilla montagna molisana, ma devo tornare indietro. Nonno lo faceva. Avvolto nel vecchio cappotto, leggermente più grande di spalle, una borsa di cuoio, di quelle che faceva lui, con il collo della bottiglia, turato da un turacciolo di sughero, che spuntava da un lato. Il basco calato fino alle sopracciglia ed il mezzo sigaro pestato in bocca. Non si poteva fare la strada insieme all`asina, l`inverno. Rosina era vecchia, ormai serviva solo a portare qualche fascina per il fuoco dalla vigna. Nonno non l`avrebbe mai lasciata da sola alla stalla, preferiva portarla con lui in campagna, era l`unico essere che poteva dargli compagnia senza chiedere nulla in cambio.La mia chiede compagnia, ma in cambio vuole benzina. Ora la strada scende in curve , a sinistra il fiume che si allarga, lungo, fino al bacino artificiale, a serrarsi contro la diga curva. Una riva giallastra e fangosa, tappezzata di mucchi di rami portati dalla piena, accompagna un leggera increspatura, verde bottiglia dell`acqua. Rallento sotto Bomba, da lontano un vecchio cartello slavato, mi indica la stazione del paese e la direzione Pennnadomo. Mentre scendo sulle nodose curve fino alla stazione si erge come un fantasma di antiche vestigia, l`enorme cavalcavia, interrrotto dal pilone centrale crollato. è lì decenni. Arrivarono gli ingegneri da Roma. Volevano costruire il ponte che velocizzasse la strada. Si misero a misurare, a studiare e I pastori dicevano di non costruire , perche` il posto era chiamato dagli abitanti “la sorgente”, c`era l`acqua sotto. Nonno Nicola una volta ci aveva fatto finire Rosina, con le zampe fino ai garretti, per poco, non bisognava tirarla fuori a forza. Nessuno ascoltò I pastori, ed il ponte, appena costruito crollò .La moto si inclina sulla curva cinta da rovi di more, salta sulle rotaie sconnesse della vecchia stazioncina. Passo oltre fino al ponte sul Sangro. La strada a a destra verso Pennadomo.Da questo versante il lago si fa meno oscuro, quasi amicale. I toni del verde tenebroso, lasciano il passo ai canneti sulle rive, dove I pescatori si appostano per le carpe ed I cavedani. Un`aria sottile ti invita alla sosta, mentre a destra, campi a fienagione, sparuti filari di vigne basse, si alternano agli anonimi caseggiati di contadini moderni. Improvvisamente, qualcosa incombe abrunire le chiare sagome della mia V7. Il rumore si fa cupo, quasi un muro ritornasse il polmone d`acciaio che pompa sotto le mie ginocchia. Alzo lo sguardo. Una lama di roccia , sottile come una sfoglia, si erge da una bassa sterpaglia spinosa. Un`altra lastra di roccia, altissima la contrasta , a formare una stretta gola, nella quale scorre, tranquillo un rivo tra I sassi. Nonno Nicola ci è passato di notte.Dal buio del greto ghiaioso, si odono gli echi delle civette sulle cuspidi nelle tenebre. Nonno sente l`asina inquieta. Lo sa che il paese , di notte , è un covo di streghe, Pennadomo è Pena d`uomo, il posto dove si assiste al martiro dei viandanti sospetti. Il tizzone del sigaro lo guida sull`erta di fronte alle rocce. Non vede l`ora di scollinare alle luci delle strade. Nonno, sente il fiato delle streghe sulla nuca. Nonno ha paura che gli entrino in casa per portargli via I figli e passarli sul fuoco. Così dorme con le gambe incrociate, perché le maliarde non lo possano tormentare nel sonno, e tiene l`accetta sotto al letto. Bisnonno incrociava le gambe , nonno incrociava le gambe anche quando stava a Dachau, papà incrociava le gambe quando riposava a Milano, io incrociò le gambe quando dormo, tranne che sulla mia V7, perché qui le gambe bisogna tenerle strette contro il serbatoio, con le streghe nel motore. La salita e` da seconda. fino alla frana. Vedo l`altra sponda che mi aveva costretto al giro chilometrico. Sono in paese. Alla fontana della piazza. Nonno Nicola si ferma sempre qui con Rosina per darle da bere.Sul belvedere, le panchine coi vecchi che si appoggiano al bastone sentono arrivare nonno dal lago, per gli zoccoli dell`asina. Ma quel giorno, arriva solo Nonno. Ha la testa bassa. Ha seppellito Rosina vicino alla vigna, sotto un ulivo che stende I rami a valle. Nulla ha più importanza, adesso. La frana porta via la strada, porta via gli orti, coltivati a fatica, porta via anche I vecchi, morti di vecchiaia a forza di stare lì a vederla scorrere. Qui, sulla piazza del paese, davanti la fontana, si sente solo un rumore: quello del mio bicilindrico di una vecchia V7.
Gianluca Di Renzo

3 commenti:

  1. gli ingegneri arrivano ovunque, non ascoltano nessuno, tantomeno la memoria storica dei luoghi dove ci costruiranno grandi opere, ponti, dighe, ferrovie, autostrade, centrali
    La memoria storica diventerà incubo quando i ponti crolleranno, le dighe cederanno, la frana porterà via la strada.
    Nella mia valle, la val di susa, sta per arrivare l'alta velocità che salverà l'italia.
    Io piango sotto la grande quercia.
    Grande narrativa,
    grazie.
    Minu

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  2. Una grande passione, l'hai trasmesso perfettamente
    Mitica Guzzi... e chi la guida!

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