martedì 31 marzo 2009

Ventimila seghe sopra i mari


Sono il ragazzo brufoloso che incontrereste nell’atrio della scuola, scambiandolo per uno delle medie. Sono il giovane da picchiare nel bagno, durante la ricreazione, sono la vittima alla quale rubare la pizza o svuotare il portafoglio, Sono il piccolo Fantozzi da mandare a casa senza le scarpe nuove. Insomma sono lo sfigato, ancora toppo spiumato per le superiori,e troppo vecchio per l’asilo. Come tutti gli imberbi tredicenni sfigati mi diletto di hobbies i quali nulla hanno a che fare con la topa. Dalla costruzione di aerei da guerra, alla collezione di Diabolik, al tennis condominiale, con racchette dalle corde di budello. Agli inizi degli anni ’80 è una sciagura non avere i requisiti per cuccare e il rifugio nelle larghe braccia della musica rock è la corazza ideale per salvarsi dai veri maschi dall’ascella all’ormone di facocero. La stagione estiva ’82, si apre con il dilemma del guardare le partite dei Mondiali, oppure fare altro. Per chi non è stato giovane durante i mondiali dell’82, è necessario ricordare che l’assenza dalle vicinanze di un televisore, durante le partite della nazionale, era passibile di scomunica da parte, di amici e parenti. Alcuni dei marchi di infamia, simili ad un branding effettuato sull’esterno coscia tipo manzo nei film con John Wayne, consistevano nell’epiteto di “ricchione” (ossia colui che predilige altri sport che non siano il pallone), oppure “Secchiò” (colui che predilige gli studi alle attività sferico – ludiche), o altro tipo “Cujò” ( ossia “coglione”, colui che sceglie di fare altro). C’è qualcosa nell’aria, oltre all’odore delle mie scarpe da ginnastica sul davanzale della mia finestra. Si sente che quella sarà un’estate particolare. Inizio quindi la mia stagione di pesca, tentando di snobbare gli eventi sportivi, tra la disapprovazione dei miei vicini di ombrellone, i quali abitano a forcella e vanno in giro con le ciabatte tricolore, sfoggiando canottiere con il volto di Franco Causio con l’aureola. Ci sono anche i Rolling Stones che stanno per arrivare, ma a me, a tredici anni, non è concesso neppure andare a veder i concerti serali dell’organista in chiesa. Tra un nastro degli Ac/Dc e uno dei Jethro Tull, i mondiali iniziano, con i baffi di Claudio Gentile tra gli argomenti da prima pagina di tutti i telegiornali. La tensione sale su Bearzot e sui risultati non esaltanti delle prime partite. Addirittura si rischia la figura di merda con il Camerun. Kazzo di negri! Quando succedono queste cose, il fastidio sado maso che impongo, perdendo queste partite, è quasi piacevole. E’ una sorta di stimolazione da contrarre l’ano. Intanto sulle spiagge, chilometri di gazzette dello sport, vengono sfoggiate tra un olio all’estratto di cocco ed un camillone al gusto fragola e panna. Passo senza commozione di ritorno dal molo, avendo scelto la pesca come attività fuorviante. Sembra che anche i pesci stiano osservando il mondiale, tanto che le catture sono rare e di scarsa rilevanza. Noto con piacere che i frangiflutti, si svuotano, con l’avanzare dell’Italia, nelle qualificazioni. Tra le rocce, ricoperte di cozze e alghe, risuonano gli stridenti urletti delle radioline a rompere il meditativo silenzio dei pescatori. Con estremo culo e tre pareggi, l’Italia passa ai quarti. Il girone che si presenta agli italioti tutti è sconcertante: capitiamo insieme a Brasile ed Argentina, praticamente è come mettere il pisello sulla riva del Nilo con i coccodrilli a pelo d’acqua. In spiaggia si iniziano ad effettuare strani riti propiziatori. La comitiva di napoletani che occupa la spiaggia, ricaccia antiche cerimonia, che rasentano il sacrificio umano. Ogni estraneo, per principio, porta sfiga. Le palle dei più anziani,nonno, zii, bisnonni, vengono sfregate più volte al giorno. Chi non arriva in spiaggia, tenendo sotto braccio una Gazzetta dello Sport è un untore di sventura. Cerco di defilarmi dall’isteria collettiva: Gentile si taglierà i baffi? Rossi non segna perché non tromba da più di due settimane con la moglie? Oppure: Antonioni è frocio? Arriviamo così al fatidico ventinove giugno millenovecentottantadue: Italia Argentina. Nella mattinata c’erano già state le prime avvisaglie. Uffici chiusi, negozi alle prese con inventari fuori stagione. Pronto Soccorso con i bagni allagati, Pompe Funebri senza casse in magazzino. Nessuno può morire, nessuno può farsi male, nessuno può non guardare la partita. Se fosse arrivato un Berlusconi, quel pomeriggio, ed avesse preso possesso del parlamento, con una giunta militare guidata da Pinochet, a nessuno sarebbe fregato un kazzo. Il televisore era l’unica ragione. Per tutti, tranne che per uno: il sottoscritto. Impassibile, imperturbabile, alle ore 14,30 esco di casa, con cestino, canne , esche, questa volta nell’indifferenza generale. Nessuno si accorge della mia assenza. Fuori un silenzi da dopo bomba, rotto solo da una monocorde voce di Martellini, che fuoriesce da qualsiasi finestra di casa nella quale ci sia un briciolo di vita. Con un passo che risuona alla “Five o’clock in the morning” dei Village People, scendo sotto al molo sud. Nessuno. Niente. Ombrelloni chiusi, serrande abbassate, barche ferme, granchi immobili, cozze serrate sugli scogli. Lì in quel momento, capisco e comprendo di essere il “vero coglione” che è sceso al mare per fare qualcosa “controcorrente”, sapendo che quel gesto non verrà notato da nessuno, perché non c’è nessuno. Arrivo con scioltezza fino al faro e mi appresto a questo inutile esercizio di stupidità dell’essere diverso a tutti i costi. Ma il silenzio amplificato dall’ampiezza degli spazi, mi riporta lontani gli echi delle case all’Orientale, dove branchi di italioti infoiati, urlano, sudati, contro il tubo catodico. Ogni tanto la brezza marina risuona delle beluine urla dei miei concittadini. Solo, in questo silenzio, accucciato sullo scoglio, nel fremito del piacere di una privazione, che nessun uomo sano di mente potrebbe approvare, inizio, dolcemente a frugarmi nel costume. Una sensazione di caldo umido, aggredisce la mia mano, appena tolta dall’acqua, facendomi indurire l’attrezzo. Decido il gesto clamoroso, che da anni mi frulla nella mente, senza che mai abbia potuto concretizzarsi a causa dell’affollamento del luogo. Inizio a tirami l’arnese. Ma non è una sega veloce ad evitare lo scandalo. E’ una sega progressiva, ritmata, effettuata prima nella posizione accovacciata, poi, mano a mano si fa sempre più esplicita. Nell’altra mano stringo sempre la canna da pesca, come stringessi due cazzi contemporaneamente. Eccitato dal rischio di essere toppato e con il desiderio di essere toppato, al mia timida erezione iniziale, si trasforma in un principio di priapismo. E’ il cinquantaseiesimo del primo tempo, mi alzo in piedi sullo scoglio, a gambe larghe, con il kazzo rivolto a levante. Ormai, sono nel deliquio totale, tiro, tiro, tiro, Tardelli…Goooooooaaaaallllll!!!!! Torno a casa a tarda sera, tra lo strombazzare di una città esplosa in un’orgia di esternazioni di bassa dignità animale. Trovo il vicino che sbava, violaceo, ansimando sullo zerbino. Entro a casa. Mio padre, con lo sguardo tra il rimprovero e la commiserazione, freddo mi apostrofa: “Non sai che spettacolo ti sei perso!”. “Sapeste che spettacolo vi siete persi voi!”. Penso e mi chiudo in camera.

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