Ero nel pieno di un sogno
meraviglioso del quale avrei potuto narrare alla famiglia, una volta che mi
fossi destato quando mio padre si è materializzato. Era comodamente seduto
sopra una graticola accesa, mangiando una pizza con alici e pomodorini pachino.
In genere il mio defunto genitore non mi appare neanche per darmi i numeri del
lotto. Ho sempre pensato che sarebbe finito all’inferno. Non ho trovato
inopportuna la sua intrusione all’interno della mia attività onirica quanto il
fatto che stesse brandendo una pizza. Non ricordo esattamente quali fossero i
suoi gusti preferiti da vivo. In ogni caso ho apprezzato la sua visita.
Ultimamente, con il virus che impazza over the land peggio di un singolo di
Bocelli, pensavo volesse rendermi partecipe di qualche messaggio da l’oltretomba
stile piccolo veggente di Lourdes. “Figlio mio – ha esordito severo – hai voluto
la partita iva? Adesso ti attacchi al cazzo”. Ho provato a controbattere “Papà
ma non mi avevi educato, sin dalla più giovane età, all’indipendenza dai
padroni, all’ottimismo dell’impresa privata, al libertinaggio della
professione, all’onanismo dell’iniziativa artigianale, allo sprezzo del
cartellino da timbrare?” “Tutte cazzate – mi ha risposto secco – l’inferno
sembra l’anticamera dell’ufficio di un commercialista. Ogni libero imprenditore
ha il suo girone ove sconta la pena in base alla colpa di cui si è macchiato in
vita. Chiunque abbia osato non chinare il capo alla busta paga, è punito in
eterno con le più atroci sofferenze. Giù , nel fondo dell’abisso, stanno i
piccoli artigiani, quelli che han passato la vita nelle bottegucce, a mandare i
“porchididdio” per ogni serranda alzata la mattina e abbassata la sera, i
calzolai curvi sulle scarpe delle vecchie da risuolare, i tappezzieri con la
poltrona graffiata dal gatto, i salumieri del quartiere con le fette di lonzino
da mettere nel panino all’olio da centocinquanta lire, per lo studente obeso
delle medie. La loro pena è inseguire cartamoneta da cinque euro che svolazza
sospinta da un vento costante. Li vedo saltare, correre, fino al collasso, onde
acchiappare il denaro. Li vedo, seduti sugli sgabelli di legno malamente
inchiodati, aspettare che i clienti, saldino i lavori, dopo mesi e scoprire che
le vecchie sono morte, i gatti sono scappati, gli obesi scolari sono dimagriti.”
Nel frattempo mio padre aveva terminato la pizza e si stava accendendo una
sigaretta. Non ha smesso di fumare neanche da cadavere.
“Babbo, ma io ero
felice del mio lavoro, Da principio ero incapace, molto efficiente ma poco
efficace. Ora sono un mastro, di quelli buoni per farci le novelle. Mi
inquadrano anche i tiggì, quando fanno i servizi sul genio italiano e le buone
promesse dei candidati che lodano il lavoro patrio. Or son ventiquattro anni
che spennello pareti, applico piastrelle e muri ergo. Coibento ergo sum.” “ Sono ventiquattro anni che hai deciso di
essere coglione – ha sbottato mio padre – lo sai che all’inferno non c’è
neanche uno statale?” “ Ohibò- ho esclamato- ma cosa ne è stato dell’assenteismo,
delle vacanze, delle agevolazioni, delle convenzioni per gli studi e le colonie
a figli , nipoti, pronipoti, amanti, soggiorni agevolati more uxorio, saune e
terme per sciatiche dovute a uso smodato dell’aria condizionata, buoni pasto,
biglietti gratuiti per piste e posti al teatro, al cinema, ai parcheggi, mutui
agevolati inps, inpdap, cgil cisl uil, ispes, inail, ina, cassa previdenza qui,
cassa integrazione lì, liquidazioni,
pensioni, tredicesime, quattordicesime, quindicesime, crociere, bische, case di
appuntamento, file al banco carne e
precedenza ai loculi del cimitero?” “Proprio
per questo – ha risposto papà – non hanno mandato una bestemmia a memoria ma
hanno usato il calendario, a differenza tua, per segnare i giorni che li
separavano dal buen retiro. Hanno benedetto
ogni giorno per il posto nel quale ponevano le terga, guardando beffardi,
barbuti muratori inveire gli dei immortali, mentre masticavano il mezzo toscano
spento in bocca, impastando cemento sotto la furia degli elementi sopra un’impalcatura.
Sembravano spettatori muti in visita all’acquario, guardare attraverso il vetro
bestie rare e feroci, consumarsi nelle botteghe, indurire le mani con i manici
nuovi dei picconi, asfaltarsi i polmoni con le vernici al piombo. Lo spettacolo
li divertiva ma essi benedivano il Creatore per averli sottratti dal morbo del
farsi da sé.” “ Suvvia papà, avranno pur qualche scheletro nell’armadio – ho provato
a controbbattere- una rata del mutuo non pagata, una vacanza fatta con il certificato
medico, una pratica accelerata per il compare, una sbiarciatina sul pornazzo
fatta dal computer dell’ufficio” La fiamma sotto al culo di mio padre si accese
ancor di più “Cosa dici cretino! A chiunque abbia provato ad accusarli, loro
han risposto : maanoiletassecelesottraggonoallafonte. Ciò è sufficiente per
troncare ogni discorso. Tu, invece, che hai accettato i soldi in nero, non ti
sei sottratto al malaffare. Hai provato pure a metterti un cognome albanese,
per attrarre i tuoi clienti, figlio snaturato! Ora paga il tuo fio con l’inferno
oppure pentiti, trovati un lavoro serio! Detto questo, mio padre è svanito dal
sogno, lasciando il posto all’immagine di Conteil quale, tra un colpo di tosse
e l’altro, urlava: “Chiudiamotutto, partiteiva mò so cazzi vostri”. In quel
momento mi sono svegliato di soprassalto. Il telefonato ha squillato, era la
banca : “Mi dovrebbe rientrare di euro cinque”. Ho provato a vedere se c’era
rimasta qualche banconota volante fuori dalla finestra: era lì per strada, a mezz’aria , un vecchio calzolaio la stava
ancora inseguendo.
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