Velia stava seduta
sul mucchio di pietra solitario, al centro del grande stazzo, vicino a
Beffi. Si muoveva con prudenza, in quella
primavera del 51’, aspettava un bambino. Non importava se maschio o femmina,
l’importante era che Antonino non sarebbe andato a lavorare fuori dalla provincia,
per stare vicino a lei, almeno il giorno del parto. La donna era lì, sotto al
sole, Antonino era andato a prendere un po’ d’acqua da bere, in attesa della
Littorina che li avrebbe riportati a L’Aquila. Dal vecchio rudere vicino
udirono dei guaiti. Velia vinse la riluttanza del marito e si avvicinò al
vecchio capanno. Accanto al corpo di una femmina di pastore abruzzese morente,
c’era un cuccioletto in cerca del seno della madre. Velia si commosse ed il suo
pensiero si rivolse immediatamente alla creatura che aveva in grembo: “Se
anch’io morissi, cosa succederebbe a mio figlio?”. A sera sul treno verso
L’Aquila, il suo grosso cesto di vimini nascondeva le vivande ed il piccolo
cucciolo addormentato. Gli inquilini del casolare sotto la Stazione alla
Rivera, dissero che quel cane lì non ci poteva stare. Antonino, decise di
portarlo dall’amico, che aveva un orto proprio sotto il fiume Aterno. Lui e
Velia andavano spesso a trovare il cucciolo ed il cane ricambiava le loro
attenzioni con affetto smisurato, soprattutto nei confronti di lei. Si avvicinava
a Velia e posava delicatamente il testone sulla pancia quasi percepisse la
presenza di una piccola vita. In autunno Antonino e Velia si trasferirono su in
città, il parto era imminente e decisero, a malincuore, che il cane non sarebbe
venuto insieme a loro. Il cucciolone era lì, ogni giorno, vicino al cancello ed
aspettava invano l’arrivo di Velia per poterle mettere la sua testa nel suo
grembo. La piccola Rosaria nacque. Fu un parto difficile. La bambina fu
estratta con il forcipe e l’operazione le causò danni permanenti alla vista.
L’ortolano li venne a trovare in Ospedale e raccontò ai due genitori un fatto
strano: il cane, proprio il giorno della nascita della bambina, aveva iniziato
ad ululare ininterrottamente per tutto il giorno.
Quando la piccola
Rosaria fu in grado di camminare, Antonino pensò bene di scendere verso
l’Aterno per andare a trovare il cane, che ormai era diventato un enorme
pastore, candido come la neve del Gran sasso.
All’inizio la piccola
Rosaria, la quale, al cospetto dell’animale, appariva minuscola, era intimidita
da quell’essere gigantesco le girava intorno scodinzolando. Lo stupore di Antonino
e dell’ortolano fu grande quando, approfittando di un momento di distrazione
dei due uomini, il cane si avvicinò alla bambina e si gettò a pancia all’aria,
per farsi coccolare, tra le risate argentine di Rosaria…
1955. Nevicò per
quasi dieci giorni. Non era stato un dicembre freddo, quello. Tutto lasciava
presagire ad un inverno come gli altri. Qualche fiocco, ma niente a cui la
popolazione aquilana non fosse abituata. Rosaria, guardava la neve, scendere
dalla finestra della camera, con le gambe poggiate contro il termosifone,
scaldato dalla grande caldaia a cherosene. Sulla rosa canina , che formava una
tettoia naturale, tra il muro della casa ed il recinto vicino la strada, si
posavano i grandi fiocchi. La neve faceva contrasto con il grande muro della
caserma degli alpini di fronte. “Quando torna papà?” si girava verso la madre
china sull’uncinetto, seduta accanto a lei. Rosaria non aveva ancora cinque
anni e già portava dei pesanti occhialoni da vista. Era una bimba precoce e già
leggeva qualche parolina. Si divertiva, con il suo atlante, a ripetere a
memoria tutte le capitali degli stati del mondo. Non era stata bene Rosaria.
Soffriva di frequenti ed abbondanti epistassi e questo preoccupava molto
Antonino. Cresciute le altre tre sorelle, era Laura l’ultima nata da Osvalda, a
prendersi cura ed a giocare con Rosaria. L’aspetto indifeso della bambina ed il
fatto che fosse la minore, faceva rivivere a Laura il momento in cui lei aveva
perso sua madre e di quanto lei fosse piccola in quel periodo. Passò Gennaio.
Il freddo si fece molto intenso ed il riscaldamento non bastava a mantenere una
temperatura soddisfacente in casa. Le ragazze si scaldavano avvolgendo la borsa
dell’acqua calda nelle coperte, oppure facendosi scaldare un mattone e
mettendolo sotto le lenzuola. Poi arrivò quella nevicata. Il quartiere si
trovava sotto le propaggini del Gran Sasso e la casa di Antonino era una delle
ultime case popolari prima della campagna aperta. La neve superò presto il
metro e mezzo. In quelle condizioni era difficile persino uscire di casa.
L’ultima notte, Rosaria iniziò a sanguinare dal naso. Un fiotto inarrestabile,
continuo. La neve cadeva sempre più abbondante, altissima, una muraglia. Nel
silenzio, ovattato della neve cadente, all’improvviso, ululati. Antonino si
fermò ad ascoltare, poi aprì la finestra della cucina: lupi!
Erano scesi, spinti
dalla fame ed ora si trovavano a poche centinaia di metri dal quartiere.
Rosaria peggiorava. Bisognava fare in fretta. Antonino vestì la bambina, la
avvolse in una coperta ed uscì. La strada fino al Torrione ed all’incrocio era
una distesa bianca. Sarebbe stato difficile camminare sulla neve fresca, non battuta per almeno tre km, fino alla
fontana luminosa e poi, da lì, fino all’Ospedale. I lupi sembravano vicini od
era la paura, la solita paura di Antonino, quella che lo aveva salvato tante
volte? In realtà, tra la neve non c’era nulla. Quegli ululati li aveva sentiti
solo lui. I lupi era i demoni, i demoni che bussavano alla porta, quando la
bambina stava male, oppure quando compariva nel sonno il volto di sua moglie
Osvalda. Antonino, riuscì a cacciare le vecchie racchette da neve dalla cantina
e si incamminò. Avvolse la piccola Rosaria in una pesante coperta di lana ed
inizio ad inoltrarsi nella muraglia di neve fresca che lo separava
dall’Ospedale. Stava salendo la strada che costeggiava il castello quando,
delle ombre veloci lo circondarono. I lupi avevano seguito le sue tracce ed ora
i loro occhi brillavano come fiamme nella notte biancastra. Ringhiavano, erano
pronti ad attaccare per saziare la loro fame. Tonio stringeva Rosaria al petto.
Giurò che avrebbe venduta cara la pelle, prima di cedersi alle fauci di quei
predatori. All’improvviso, dal nulla, un enorme pastore abruzzese, si avventò
contro le bestie, ingaggiando una sanguinaria lotta contro il capobranco.
Antonino guardava, paralizzato dalla paura. Il cane riuscì mettere i lupi in
fuga. Si avvicinò, il manto bianco inzuppato di sangue, al piccolo fagotto che
Antonino stringeva a sé. Strofinò delicatamente il suo muso sul corpicino
tremante di Rosaria quindi si girò e scomparve nella tormenta. Antonio arrivò
in Ospedale a notte fonda. La bambina era quasi congelata, ma questo aveva
bloccato in parte l’epistassi. Giorni dopo, Antonino scese al rione Rivera, per
andare a trovare il suo cane. Non c’era più.
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