Sono le ore diciotto. Siamo
arrivati alla fine di marzo. Ha smesso di piovere da poco e mi trovo in fila,
con il mio furgone, all’ingresso del paesotto che per comodità sigleremo per O.
Il mio stereo quasi a palla produce vibrazioni profonde nella carrozzeria del
mio van, causate dal basso di Jaco Pastorius. Aspetto distrattamente che la
fila di auto proceda. Davanti a me uno scooter, guidato da una ragazza, è
posizionato sulla destra. Allo scoccare del verde, la fila avanza con un
sobbalzo. La ragazza accelera nervosamente ma la strada resa viscida dalla
pioggia , fa sbandare il motorino. La ragazza perde il controllo e finisce a
terra. Io mi trovo immediatamente dietro e assisto a tutta la scena con un misto
di sorpresa e disappunto. La ragazza si rialza ma è visibilmente dispiaciuta.
Istintivamente scendo dal furgone per prestarle soccorso. La giovane non ha
riportato danni ma piange amaramente guardando lo scooter. Noto subito che la
motoretta è nuova fiammante e questo costituisce il motivo del suo pianto. Le
chiedo se ha bisogno di aiuto e tento di rialzare il ciclomotore. “Lasci stare
quella moto”! Dalle mie spalle odo una voce in tono di comando e uno scalpiccio
di tacchi in cuoio. Mi giro. Un ometto, baffi riportino e occhiale di foggia
antica, sta correndo verso la scena dell’incidente mentre le altre auto passano
oltre, curiosando noiosamente. “La stavo solo aiutan…” Non riesco a finire la
frase “ Lei stia zitto!” mi apostrofa il tipo, rivolgendosi alla ragazza “Cosa
è successo, signorina”? Il tizio interroga la giovane ma lei piange e riesce
solo a bofonchiare qualcosa. Rimango senza parole e non mi rendo conto subito
della situazione” Io…”, vengo nuovamente interrotto. “Non l’ho interrogata,
deve essere la ragazza a dirmi cosa è successo veramente!”. Poi si rivolge
nuovamente a lei “ Su, mi dica, sono un assicuratore”. In questo momento
comprendo quale ipotesi, questo ometto, venuto dal nulla, abbia potuto
formulare nella sua testa: Io, individuo fuori dall’aspetto standard di persona
di cui fidarsi, ho causato la caduta della giovane dallo scooter e ora sto
approfittando per inquinare la scena del
sinistro rialzando la suddetta moto e lasciando la giovane al suo destino. Per
fortuna, la ragazza ha il buon senso di rispondere al tizio. Discolpandomi completamente.
Aspetto invano delle scuse ma ricevo solo le sue spalle. Ho troppa fretta per
acchiapparlo per il bavero e insegnarli l’educazione, sono impietrito, non so
cosa dire. La scena in sé stessa ha occupato il tempo di un minuto ma le azioni
e le intenzioni mi hanno raccontato tutta la vita di quell’uomo e come egli si
ponga nei confronti degli altri. Mentre mi rimetto alla guida, allontanandomi,
guardo lo specchietto retrovisore per sincerarmi che la ragazza stia bene. L’uomo
le è ancora vicino. A questo punto mi viene il dubbio che la mia innocenza
possa trasformarsi in una colpa. Quell’uomo, quel piccolo essere dal riporto
leccato, potrebbe spingere oltre il limite la sua attitudine a ricercare la
situazione nella quale sguazzare, me lo immagino dire alla ragazza: “Mettiamoci
d’accordo, io sono assicuratore, posso testimoniare, dichiariamo che quel
furgone , con una mossa azzardata, ti ha fatto sbandare e diamo la colpa a quel
barbuto con gli orecchini. Secondo me è disonesto già dall’aspetto, forse usa
droga e maltratta figli e moglie, forse è un ladro. Vedrai, caveremo soldi
dalla sua assicurazione. Si vede dalla faccia quanto sia colpevole
geneticamente.” No, la mia mania di persecuzione non può spingersi oltre. Forse
sono colpevole veramente, quel tizio ha ragione. Non avrei dovuto fermarmi,
avrei dovuto farmi i cazzi miei, perché c’è sempre un assicuratore fermo ad
accorrere sulla scena dell’incidente per dare la colpa a qualcuno. Adesso torno
indietro e mi invento qualcosa tipo: in effetti l’ho fatta cadere io la ragazza
e l’ho minacciata in modo che lei desse la colpa dell’incidente all’asfalto
bagnato e alla sua imperizia. L’ho fatto perché avevo fretta, non avevo la
patente in regola oppure stavo trasportando della droga ed un contrattempo
avrebbe rovinato i miei piani criminosi.
Potrei vedere così, il volto dell’assicuratore
illuminarsi, per il fatto che aveva ragione a non fidarsi, perché quelli con il
mio aspetto sono tutti dei poco di buono. Avrebbe chiamato i carabinieri per
verbalizzare la mia confessione ed essere sempre più convinto che la sua
condotta fosse quella giusta. Sarebbe stata la glorificazione della sua faccia
schifata quando mi ha apostrofato. Lo vedo, seduto davanti al televisore, vomitare
improperi contro il malcostume di quelli come me, con l’aspetto di sovversivi,
pronti a sfidare l’ordine costituito in virtù del loro aspetto, gente che non
oserebbe mai celare la calvizie come fa lui, sotto un riportino appiccicato
sulle tempie con il gel, uomini pronti ad ostentare un’oscena calvizie, una
scoppatura eversiva.Per fortuna sono oltre l’incrocio e l’impossibilità di
poter fare un’inversione a “u” mi salva dal mio proposito suicida. Immagino l’assicuratore
dagli occhiali alla Rick Moranis, tenere sulle sue ginocchia i suoi figli ed
insegnar loro i rudimenti della diffidenza verso il prossimo, dell’andare in
culo agli altri per avere successo, della sopraffazione, del saper riconoscere
l’abominio da un abito, un pelo fuori posto, una maglia peccaminosa, una scarpa
pornografica. L’assicuratore è un Tognazzi in un episodio di un film di Risi: “Educazione
sentimentale”. All’improvviso, il suo volto mi riconduce alla sua prole! Sì, io
conosco i suoi figli, in particolar modo una, la quale ha intrapreso una
carriera politica con i mezzi più squallidi. Come riavvolgessi un nastro, tutto
diventa più coerente con quello che conosco di questa persona quasi che,
conoscendo la sua progenie, avessi dovuto prevedere il comportamento del padre.
Se avessi avuto più spirito e più memoria, avrei potuto girarmi, dopo l’incidente
e prevedere, dal rumore dei suoi passi e dal suo riporto, quello che mi avrebbe
detto. Lo avrei dovuto anticipare, urlando: “So chi è sua figlia quindi lei ora
mi dirà delle cose di merda!” Sarebbe rimasto basito, muto, in mezzo alla
strada, distrutto da una verità la quale invece si è tramutata in menzogna nei
miei confronti. La colpa di un figlio sarebbe potuta ricadere, per la prima
volta, sul padre.