La prima memoria che ho di un
oggetto a ruote è di un ciuchino di plastica rosso con le orecchie che si
giravano. Il giochino che dovevo spingere con i piedi, mi consentiva grandi
avventure lungo il corridoio dell’appartamento in via Ronchi a Milano. Non era
facile, a quell’epoca avevo due o tre anni. Il problema era dato dal fatto che
fosse consuetudine per le brave padrone di casa, passare la cera sul lugubre
pavimento di marmo e questo impediva il giusto grip che mi consentisse di darmi
una spinta sufficiente. Mia zia e mia madre, un giorno, si divertirono a vestirmi
con una ridicola cuffietta che mi faceva sembrare uno di quei cicciobelli da
collezione. Avevo dei lacrimoni incredibili. Fu quella l’occasione per
fotografarmi in quella tenuta che mi avrebbe lasciato un trauma per il resto
della mia vita insieme a un desiderio represso di fare la drag queen. Le
orecchie di quel cavallo fungevano da calmante per il dolore causato dai miei
denti che crescevano in modo disordinato. Le masticai fino a scolorirle. Tuttavia
l’asinello fu un buon inizio. La sorpresa maggiore si presentò quando ci
trasferimmo in un appartamento al piano terra, sempre nella stessa via. L’appartamento
aveva un giardino, nel quale era piantata una bellissima magnolia. Il piccolo
pezzo di terra, relativamente spoglio si affacciava direttamente sul
marciapiede e sulla strada. Andavo ancora all’asilo e, in quel periodo, mio
padre aveva acquistato un maggiolino rosso. Una sera i miei genitori si presentarono
a casa con uno scatolone enorme. Figuratevi il mio stupore quando, aperto il
contenitore, vidi quella bellissima replica della macchina di papà, dotata di
un paio di pedali di ferro. Quello che diede da pensare ai miei familiari fu
che, passati i primi attimi di gioia, riversai la mia attenzione verso lo
scatolone, lasciando perdere per una decina di giorni il contenuto. Della
macchinina non me ne fregava niente. Volevo inventarmi le avventure più incredibili
in quello scatolone. Mi sono sempre chiesto cosa mi passasse per la testa:
preferire in contenitore al contenuto. La scelta, cosa che ho realizzato dopo
tanto tempo, non fu dettata dalla superficialità tipica di un atteggiamento
infantile ma dallo scoprire le potenzialità creative dello scatolone: con quel
coso a forma di cubo inventai le migliore avventure che un bimbo solo, nella sua
cameretta, di pomeriggio, avrebbe potuto inventare. Una nave, un castello, un
rifugio, un fortino. Un oggetto che nella sua essenzialità era potenzialmente
trasformabile in tante cose. Scesi nuovamente sul piano terra quando mio nonno acquistò
per me la prima bicicletta: era una Graziella blu con un paio di rotelline
grigie. Rimasi sconcertato che fosse piegata in due, in seguito scoprì che si
poteva congiungere tramite una cerniera al centro del telaio. Scorazzavo intorno
alla palazzina del Torrione a L’Aquila, insieme ai miei amici dell’estate:
Patrizio, Stefano, Cesare e Mauro. Fino a quella sera quando, levate le
rotelline laterali, dopo vari tentativi, riuscì a pedalare tenendomi in
equilibrio. Capì che era iniziato qualcosa d'importante per me nel momento in
cui, per l’emozione, un piccolo rivolo caldo mi scese lungo una gamba..