Alla tenera età di anni dodici,
fui stravolto da turbamenti i quali, al posto di indirizzarmi verso pratiche
onanistiche tipiche degli acneici fanciulli anni ottanta, tutti Bolero e Blitz,
mi condussero per le opaline strade della fede, ove ogni sosta è un attimo che
precede l’ascesa alle beatitudini della rinuncia e della castità. In verità già
da qualche tempo sperimentavo ingenuo, gli sfregamenti del mio giovane volatile
con successi scarsi e infiammazioni certe. Non provavo colpe e alternavo
ignaro, le gioie della cippa con quelle più auliche della catechesi. Ero
affascinato tuttavia dalla passione religiosa di mio nonno Camillo il quale,
durante i suoi racconti di prigionia, narrava di come la religione lo avesse
salvato dalle pallottole naziste e conseguente infornata. Con il ritorno dalla
materialista e impegnata Milano nel lontano ’76, avevamo compiuto un processo
di depurazione da tutte le scorie del moderno tornando ai fasti delle più grevi
superstizione, praticando sedute spiritiche, consultando maghi e cartomanti,
mischiando Berlinguer con l’acqua e l’olio per il malocchio. Fui sconvolto
dalla capacità camaleontica dei miei parenti nel variare gusti e tendenze.
Essendo ragazzo e dovendo “onorare il padre e la madre” mi attenni ossequioso a
tutto ciò che loro credevano fosse giusto e degno di essere preso per vero. La
religiosità dei miei avi era una roccia scolpita nella pietra: Madonne di gesso
trionfanti sul serpente erano poste, sotto la teca di vetro, nelle camere da
letto dei miei nonni, sacri cuori retroilluminati lugubremente a tenermi
sveglio nelle sieste di luglio, avrebbero dovuto farmi comprendere la gioia del
credo.
Dovevo prendere la Cresima e subito. La porta per il seminario era ormai aperta. La suora mi caricò come fossi un pugile prima di un incontro valevole per il titolo mondiale: il giorno della Cresima lo spirito Santo sarebbe disceso su di me come una fiamma dal cielo, inondandomi di un’energia straordinaria per combattere il peccato. Diamine! Pensai. Avevo in mente una cosa tipo Jeeg Robot d’acciaio o Mazinga con tanto di lampi e cupola della chiesa che si apre. Forte di questa convinzione mi preparai per questo evento epocale fino alla fatidica domenica di giugno. Un vescovo non lo avevo mai visto ma immaginavo che fosse una sorta di santo incarnato in un superuomo pronto a elargire scosse protoniche come la spada di Luke Skywalker. La chiesa era piena di parenti e amici dei tanti “prescelti” come me. Noi ragazzi aspettavamo il momento di entrare in “scena” per godere e far godere dello spettacolo, quando udii questa frase: “Avete portato la busta con il soldi per il Vescovo?”. “Ma come – pensai – un sant’uomo la cui missione è quella di spargere la pura fede all over the world, un uomo scevro dal peccato e dalla vanità dei beni terreni, si fa pagare?” Tutto il castello costruito sul malinteso dei miei risultati scolastici, i quali non ero stato in grado di attribuirli al fatto che studiassi dodici ore al giorno, crollò miseramente quando, una volta al cospetto di quell’ometto in abito rosso che mi ungeva con l’olio di oliva le tempie, non ci fu nessun fuoco sacro a scendere per investirmi della fede tanto immeritata.. Non ho nostalgia di quei tempi ma di Nadia Cassini sì.