venerdì 9 gennaio 2015

Il Fattore Umano




Non era questo, ci
ò che avevate promesso. Ricordo ancora quelle parole, noi, seduti tra i banchi di scuola. Una professoressa occhialuta, di quelle che avevano studiato Kant ed Hegel, solo per scappare dalla durezza di una vita, altrimenti relegata a far da moglie ad un pescatore di una sperduta isola dell’Adriatico. “Ricordate – sentenziava – ciò che conterà nel lavoro dei prossimi anni, sarà il fattore umano!” . Lo diceva a noi, poveri studenti del liceo classico, pieni di brufoli e alquanto arroganti, convinti di frequentare una scuola di elite, di quelle che “aiutano a ragionare”. I genitori rincaravano la dose, ostacolando qualsiasi deviazione dal percorso, tipo frequentare coetanei di istituti professionali. La manualità era bandita, quasi fosse una colpa grave, per un giovane, amare le scintille di una saldatrice o emozionarsi al suono di un motore riparato. La lingua greca avrebbe vinto, ne eravamo tutti convinti. Tutti ad aspettare l’avvento delle nuove stoà, delle agorà, delle piazze ove noi, spiriti illuminati, avremmo vissuto, parlando dell’amor che move il sole e l’altre stelle. Eravamo pronti costruire i ponti con l’aiuto di Cicerone, discutendo di Lucrezio con il capomastro. Questo credevamo e questo ci avete fatto credere. Nel Falansterio, nel Familisterio, dove sarebbero cresciuti amore ed empatia, le moderne fabbriche, liberate dal peso del capitale, sarebbero state produttrici di aretè anche per gli operai più umili. Tutti avrebbero mangiato, avrebbero fatto all’amore, avrebbero vissuto dignitosamente e sarebbero invecchiati aspettando la buona morte con un testo di Italo Calvino fra le mani rugose. La società che ci avevate prospettato, era lì, sotto i nostri occhi ed avrebbe concesso i suoi doni una volta che avessimo conseguito la nostra laurea, da esibire al popolo tutto, come razza eletta. Le prime crepe nel muro le notammo sul finire degli anni ’80 quando, le mura vere crollarono, portando con loro polvere e macerie e liberando i demoni chiuse nelle segrete dei popoli costretti ad impossibili convivenze. Così, ci siamo trascinati, ventenni e poi trentenni, alla ricerca di questo fattore umano, quasi fosse un santo Graal, tra le pulizie etniche, uomini barbuti con i turbanti, segretari di partito pigliatutto ed organizzazioni criminali con pulsioni da finanza creativa. Sono arrivati i quarant’anni e molti di noi hanno rinunciato. Alcuni hanno capito il meccanismo ed ora ci guardano dalle loro scrivanie con la lampada verde, dagli sportelli dei Suv con gli sci dell’ultima vacanza a Cortina, dai banchi di una chiesa durante il tempo libero. Noi siamo ancora qui a chiederci il significato di quelle parole rivolte a noi studenti perché avessimo fiducia nel futuro, nell’avvento della società dei giusti, noi, a bocca spalancata nell’udire le meraviglie prospettate dalla nostra professoressa…cara professoressa…non potevi farti i cazzi tuoi?