sabato 16 marzo 2013

La paletta del destino

Lungo la schiena scorre lenta la goccia di sudore. L'abbiamo scampata. Adesso il piede è più pesante sull'accelleratore, ma l'ultimo chilometro è stato interminabile. Certo, andare in Facoltà con la macchina che ti ha prestato mamma dovrebbe rappresentare un'ottima alternativa all'autobus dell'Arpa, reso simile, a causa dei semafori francavillesi, ad una carovana andina con tanto di pollame sul portapacchi. Senza togliere la possibilità di farsi quei trenta km con gli Slayer a palla. Nel 1990 sono al massimo della forma, nelle vesti di metallaro truzzo e cotonato. Vado a comprare le mie scarpe da basket da Challenge che, a quei tempi, era un piccolo negozietto alle porte di Pescara. Arrivo con la mia copia di Metal Shock e chiedo alla proprietaria se ha le scarpe come quelle di Hetfield in copertina o come quelle di Steve Harris. Sono un bel grezzone. Il capello è ancora folto e mi permette qualche pettinatura hard con tanto di bigodini. L'aspetto generale è quello di un ventenne tipica preda degli spacciatori ed ambìto per la pratica della perquisizione anale da parte delle forze dell'Ordine. La macchina di mammà è una A112 elite, che sgomma anche in seconda, con due adesivoni degli Slayer e dei Gun'n'Roses, sullo sportellone posteriore. La dotazione amp è composta da una autoradio Bandrige più piccola del vano radio, la quale rimane attaccata ad esso solo per i cavi. La Radio, acquistata da tale Rosvelto (così battezzato in onore del Presidente americano), per la modica cifra di lire venticinquemila, riproduce solo audiocassette. Così, esco di casa quel pomeriggio, per andare a prendere il mio compagno di studi, Cristian. Cristian ed io ci siamo conosciuti in facoltà e condividiamo qualche lezione. Cristian è tutto il mio opposto: sempre vestito in modo adeguato, lavora già per qualche cooperativa di servizi e si sa muovere molto bene nell'ambito politico. Spesso ci troviamo a discutere per le differenze di vedute ma ,tutto sommato, siamo complementari. vado a prendere Cristian e, nell'impeto della sboronaggine, giro in Piazza Plebiscito, presso la fermata del bus, per vedere se possiamo caricare qualcun altro. Alla fermata dell'autobus troviamo Nico L., nostro amico comune. Nico è un palestrato col capello più lungo del mio ed un vistoso orecchino. Porta uno di quegli orribili spolverini tipo Raf anni 80 ma , considerando i crimini della società negli anni seguenti (vedi le versioni sado maso di Irene Pivetti) è un orrore sopportabile. La macchina, così assortita, potrebbe già costituire di per sè, oggetto di studi da parte di volanti della polizia e finanzieri travestiti da tossici. Una A112 con due capelloni ed un pseudo boss stile Al Capone, ha poche motivazioni per viaggiare lungo la costa: trasporto di carico fresco erbe ed affini, riscossione pizzo macellerie e pizzicagnoli, spedizione punitiva zingari ad importunatori sorelle. Niente di tutto questo. Tre ignari cazzoni che non hanno nulla da nascondere. Ma il destino è treccartista. Subito dopo avera caricato Nico ed ingranata la marcia, un omaccione corpulento si pianta contro il cofano anteriore dell'auto, costringendomi ad una frenata che manco Raikkonen. Trattasi di tal A. Mistror., noto tossicodipendente ortonese, a quei tempi benvoluto da tutte le questure del chietino, famigerato per il suo famelico appetito. Ero stato testimone, qualche anno prima, di una serata presso una tristissima festa dell'Unità, nella quale, piantatosi presso lo stand nel quale lavoravo, aveva ingurgitato centoventi arrosticini e cinque litri di birra. A. M. si fa un sacco di pere ed è la punta di diamante degli strafattoni ortonesi. Ora me lo trovo a sbarrarmi la strada. La A112 emette un rantolo come volesse dire: "Ejacrist!". Senza preamboli A.M. mi dice di abbassare il finestrino e mi apostrofa con parole che sembrano più una minaccia che una supplica: "Uagliù, dovete portarmi a Pescara!". Guardo velocemente nello specchietto retrovisore: il volto di Cristian ha lo stesso colore del suo cappotto grigio ed il cranio si è visibilmente rimpicciolito tanto che il cespo dei suoi riccioli sembra grande come il suo barboncino Popi. Non percepisco più la temperatura di Nico, seduto al mio fianco, sento solo il raschiare del suo pomo d'Adamo sulla gola, come a voler disperatamente cercare l'ultima goccia di saliva. meccanicamente, come un condannato a morte si alza, si mette dietro e lascia sedere il tossicone. Così inizia il nostro viaggio verso l'ignoto, insieme a Caronte che, a differenza di quello di Dante, lascia a me la guida verso l'Averno. Nella macchina non vola una mosca, posso percepire soltanto il respiro pesante dei miei due compagni di sventure,seduti dietro. C'è un sole nitido e lucente, ma scende il buio sui miei occhi, il buio quando vedo,ungo il rettilineo del Riccio, un posto di blocco dei caramba, con tanto di brigadiere in stivaloni mitraglia e paletta , sul ciglio della strada. Sudo come un Cristo prima che lo inchiodino. Percepisco uno strano nervosismo da parte di questo obeso Lou Reed. Si è accorto dell pattuglia ed inizia a mettersi le mani sulla faccia, tentando di aggiustarsi sul sedile, quasi volesse farsi più alto per nascondere la faccia sul bordo superiore della carrozzeria. Di colpo abbassa il parasole. E' certo. A.M. ha qualcosa da nascondere. Due le opzioni: ho non può andare a Pescara per qualche ragione legale o deve andare a Pescara perchè deve vendere qualcosa. Ma le porte dell'inferno non sono abbastanza larghe, perchè si aprono sotto di noi, nonostante si tenti di rimanere attaccati alle maniglie della mia A112. Così, ad appena duecento metri dal caramba palettato, A.M. visibilmente bianco in volto, si gira verso di noi e con voce simile a quelle di un dottore che vi diagnostica il tumore, ci dice: "Uagliù, se ci fermano, è finita." Anche il rombo del motore è muto, le mie orecchie sono ovattate. Guardo per inerzia lo specchietto retro e scorgo lo sguardo vitreo e perso nel vuoto dei miei fratelli di sventura, che leggono gli ultimi istanti della loro vita per bene sul ciglio della strada. Arrivo a cinque metri dalla pattuglia. Guardo una sola cosa: la paletta rossa stretta nelle mani del carabiniere, pronta ad alzarsi con gesto meccanico. Ma questo non avviene. Probabilmente qualcuno scoreggia in macchina, perchè la tensione degli orifizi si allenta di colpo. Il resto del viaggio, non lo ricordo. So solamente questo: da quel giorno, quando vedo uno strafattone sul bordo della strada, cerco di finirlo, sterzando di colpo.