martedì 31 marzo 2009

Ventimila seghe sopra i mari


Sono il ragazzo brufoloso che incontrereste nell’atrio della scuola, scambiandolo per uno delle medie. Sono il giovane da picchiare nel bagno, durante la ricreazione, sono la vittima alla quale rubare la pizza o svuotare il portafoglio, Sono il piccolo Fantozzi da mandare a casa senza le scarpe nuove. Insomma sono lo sfigato, ancora toppo spiumato per le superiori,e troppo vecchio per l’asilo. Come tutti gli imberbi tredicenni sfigati mi diletto di hobbies i quali nulla hanno a che fare con la topa. Dalla costruzione di aerei da guerra, alla collezione di Diabolik, al tennis condominiale, con racchette dalle corde di budello. Agli inizi degli anni ’80 è una sciagura non avere i requisiti per cuccare e il rifugio nelle larghe braccia della musica rock è la corazza ideale per salvarsi dai veri maschi dall’ascella all’ormone di facocero. La stagione estiva ’82, si apre con il dilemma del guardare le partite dei Mondiali, oppure fare altro. Per chi non è stato giovane durante i mondiali dell’82, è necessario ricordare che l’assenza dalle vicinanze di un televisore, durante le partite della nazionale, era passibile di scomunica da parte, di amici e parenti. Alcuni dei marchi di infamia, simili ad un branding effettuato sull’esterno coscia tipo manzo nei film con John Wayne, consistevano nell’epiteto di “ricchione” (ossia colui che predilige altri sport che non siano il pallone), oppure “Secchiò” (colui che predilige gli studi alle attività sferico – ludiche), o altro tipo “Cujò” ( ossia “coglione”, colui che sceglie di fare altro). C’è qualcosa nell’aria, oltre all’odore delle mie scarpe da ginnastica sul davanzale della mia finestra. Si sente che quella sarà un’estate particolare. Inizio quindi la mia stagione di pesca, tentando di snobbare gli eventi sportivi, tra la disapprovazione dei miei vicini di ombrellone, i quali abitano a forcella e vanno in giro con le ciabatte tricolore, sfoggiando canottiere con il volto di Franco Causio con l’aureola. Ci sono anche i Rolling Stones che stanno per arrivare, ma a me, a tredici anni, non è concesso neppure andare a veder i concerti serali dell’organista in chiesa. Tra un nastro degli Ac/Dc e uno dei Jethro Tull, i mondiali iniziano, con i baffi di Claudio Gentile tra gli argomenti da prima pagina di tutti i telegiornali. La tensione sale su Bearzot e sui risultati non esaltanti delle prime partite. Addirittura si rischia la figura di merda con il Camerun. Kazzo di negri! Quando succedono queste cose, il fastidio sado maso che impongo, perdendo queste partite, è quasi piacevole. E’ una sorta di stimolazione da contrarre l’ano. Intanto sulle spiagge, chilometri di gazzette dello sport, vengono sfoggiate tra un olio all’estratto di cocco ed un camillone al gusto fragola e panna. Passo senza commozione di ritorno dal molo, avendo scelto la pesca come attività fuorviante. Sembra che anche i pesci stiano osservando il mondiale, tanto che le catture sono rare e di scarsa rilevanza. Noto con piacere che i frangiflutti, si svuotano, con l’avanzare dell’Italia, nelle qualificazioni. Tra le rocce, ricoperte di cozze e alghe, risuonano gli stridenti urletti delle radioline a rompere il meditativo silenzio dei pescatori. Con estremo culo e tre pareggi, l’Italia passa ai quarti. Il girone che si presenta agli italioti tutti è sconcertante: capitiamo insieme a Brasile ed Argentina, praticamente è come mettere il pisello sulla riva del Nilo con i coccodrilli a pelo d’acqua. In spiaggia si iniziano ad effettuare strani riti propiziatori. La comitiva di napoletani che occupa la spiaggia, ricaccia antiche cerimonia, che rasentano il sacrificio umano. Ogni estraneo, per principio, porta sfiga. Le palle dei più anziani,nonno, zii, bisnonni, vengono sfregate più volte al giorno. Chi non arriva in spiaggia, tenendo sotto braccio una Gazzetta dello Sport è un untore di sventura. Cerco di defilarmi dall’isteria collettiva: Gentile si taglierà i baffi? Rossi non segna perché non tromba da più di due settimane con la moglie? Oppure: Antonioni è frocio? Arriviamo così al fatidico ventinove giugno millenovecentottantadue: Italia Argentina. Nella mattinata c’erano già state le prime avvisaglie. Uffici chiusi, negozi alle prese con inventari fuori stagione. Pronto Soccorso con i bagni allagati, Pompe Funebri senza casse in magazzino. Nessuno può morire, nessuno può farsi male, nessuno può non guardare la partita. Se fosse arrivato un Berlusconi, quel pomeriggio, ed avesse preso possesso del parlamento, con una giunta militare guidata da Pinochet, a nessuno sarebbe fregato un kazzo. Il televisore era l’unica ragione. Per tutti, tranne che per uno: il sottoscritto. Impassibile, imperturbabile, alle ore 14,30 esco di casa, con cestino, canne , esche, questa volta nell’indifferenza generale. Nessuno si accorge della mia assenza. Fuori un silenzi da dopo bomba, rotto solo da una monocorde voce di Martellini, che fuoriesce da qualsiasi finestra di casa nella quale ci sia un briciolo di vita. Con un passo che risuona alla “Five o’clock in the morning” dei Village People, scendo sotto al molo sud. Nessuno. Niente. Ombrelloni chiusi, serrande abbassate, barche ferme, granchi immobili, cozze serrate sugli scogli. Lì in quel momento, capisco e comprendo di essere il “vero coglione” che è sceso al mare per fare qualcosa “controcorrente”, sapendo che quel gesto non verrà notato da nessuno, perché non c’è nessuno. Arrivo con scioltezza fino al faro e mi appresto a questo inutile esercizio di stupidità dell’essere diverso a tutti i costi. Ma il silenzio amplificato dall’ampiezza degli spazi, mi riporta lontani gli echi delle case all’Orientale, dove branchi di italioti infoiati, urlano, sudati, contro il tubo catodico. Ogni tanto la brezza marina risuona delle beluine urla dei miei concittadini. Solo, in questo silenzio, accucciato sullo scoglio, nel fremito del piacere di una privazione, che nessun uomo sano di mente potrebbe approvare, inizio, dolcemente a frugarmi nel costume. Una sensazione di caldo umido, aggredisce la mia mano, appena tolta dall’acqua, facendomi indurire l’attrezzo. Decido il gesto clamoroso, che da anni mi frulla nella mente, senza che mai abbia potuto concretizzarsi a causa dell’affollamento del luogo. Inizio a tirami l’arnese. Ma non è una sega veloce ad evitare lo scandalo. E’ una sega progressiva, ritmata, effettuata prima nella posizione accovacciata, poi, mano a mano si fa sempre più esplicita. Nell’altra mano stringo sempre la canna da pesca, come stringessi due cazzi contemporaneamente. Eccitato dal rischio di essere toppato e con il desiderio di essere toppato, al mia timida erezione iniziale, si trasforma in un principio di priapismo. E’ il cinquantaseiesimo del primo tempo, mi alzo in piedi sullo scoglio, a gambe larghe, con il kazzo rivolto a levante. Ormai, sono nel deliquio totale, tiro, tiro, tiro, Tardelli…Goooooooaaaaallllll!!!!! Torno a casa a tarda sera, tra lo strombazzare di una città esplosa in un’orgia di esternazioni di bassa dignità animale. Trovo il vicino che sbava, violaceo, ansimando sullo zerbino. Entro a casa. Mio padre, con lo sguardo tra il rimprovero e la commiserazione, freddo mi apostrofa: “Non sai che spettacolo ti sei perso!”. “Sapeste che spettacolo vi siete persi voi!”. Penso e mi chiudo in camera.

sabato 28 marzo 2009

1986 - Diploma di maturità



Maturità. Alcuni la chiamano così. Altri lo prendono sul serio. Forse e’ l’inizio di un`altra fase della sana stupidità giovanile. Il tempo non è un concetto. Il tempo c`e, lo si può perdere, ci si può giocare. Dopo uno squallido esame , grazie al quale il Liceo Classico di Ortona, si è liberato di me. (Diceva il mio professore di italiano, noto baro e truffatore, che bisogna imbrogliare in giacca e cravatta, perché sostenere l’orale con la maglietta dei Voivod e le borchie non paga), mio padre ha scelto per me la facoltà di Ingegneria a L`Aquila, mio paese natale, dove ho anche molti parenti. Ha scelto, perchè a me non è stato chiesto nessun parere per una disciplina, che ho iniziato ad odiare da subito, senza riserve con tutto il mio cuore. Così ho deciso una protesta silenziosa con una dissipatezza di costumi che solo la vita goliardica può dare. Già ho qualche contatto con ragazzi che amano il mio stesso genere musicale: L`heavy metal che in questo periodo vive uno dei suoi massimi momenti di gloria. Ci siamo incontrati qualche mese prima degli esami, a Roma per vedere un concerto degli Accept e dei Dokken. Riesco ad entrare nel loro gruppo di amici, anche perché, a dispetto della volontà dei miei, che vorrebbero anche che abitassi con qualche parente, riesco a vivere da solo, in una vecchia casa con una governante novantenne, dedita al consumo smodato di vino. Sull`ultimo punto andiamo d`accordo. Abito in una stanzetta all`ultimo piano di questo vecchio palazzone, in via XX settembre, ho un bagnetto ed un terrazzino, che si affaccia su un piccolo giardino pensile della villa, abitato da due grandi tartarughe di terra ultracentenarie. Adatto la stanza alla mie esigenze: un tavolo da disegno di dimensioni sufficienti, un letto, un armadio, un fono per riscaldarmi e un registratore per avere compagnia. L`Aquila non e` generosa con le temperature a partire dal primo autunno. La mia stanza si rivela subito molto fredda ed il vecchio impianto di riscaldamento unito al mio fono, non sono sufficienti a dare “intimo tepore” all’ambiente. Ogni tanto arriva il gatto di casa a dare un occhiata. E` un micio pelosissimo, sembra lavato con l`ammorbidente, tanto che all`inizio dà l`impressione di essere ultra obeso. Riesco ad accarezzarlo dopo qualche mese, ed ho l`amara sorpresa di trovarlo più magro e smunto del più sfigato dei gatti di strada. Tra noi si stabilisce subito una profonda ma civile antipatia che culmina con l`arrivo del cocker della proprietaria di casa da Roma: il cane oltre ad essere stupido, è molto aggressivo e viene tenuto chiuso in cucina. Riesco a prendere il gatto e lo butto nella stanza dove si trova il cane, senza guinzaglio. Dalla porta a vetri riesco solo a vedere il gatto fare balzi per sfuggire dalle fauci dell`ebete braccoide. Il felino, nei mesi a seguire, mi ricambierà orinando sulla porta della mia stanza. Inizio ad uscire sempre più spesso con la mia compagnia, scoprendo una vita semisotterranea, sconosciuta fino a quel momento. L`Aquila in quegli anni, era ancora una città Universitaria che offriva poche chances agli studenti: c`erano le classiche discoteche tra le quali la più trasversale era lo Squeak club, qualche altro locale somigliante più ad una balera che ad altro e i primi pub, un misto fra locali inglesi e bar dello sport o della stazione. La caratteristica di questi pub era l`odore di fritto e di sigarette che si attaccava ai tuoi vestiti per giorni, resistendo anche a ripetuti lavaggi. Altri vantaggi erano costituiti da cameriere che dispensavano hashish, non compreso nel menù. Inizio anche una serie di iniziative tipo festa della matricola oppure festa della festa della matricola, dove gli elementi essenziali sono, elevato consumo del suddetto hasish e alcolici di basso costo tipo “ rum des antilles” o “amaro del carabiniere”. Questi elementi, miscelati in varie proporzioni consentono uno stato confusionale protratto per tutta la notte che supplisce alla mancanza di donne, un must per chi studia ingegneria, un dovere per le donne che non la frequentano, ed una attività di rigetto del cibo tale da riempire lavandini di case altrui e favorire lo condizione di affamati continui. A L`Aquila, oltre all`hashish, gira anche dell`ottimo lucido da scarpe e molti sprovveduti vedono svanire purtroppo non “in fumo” i propri risparmi del sabato sera. La mia compagnia si divide in due settori: quella ricca e gli affiliati, nella quale figurano B. , figlio di un noto commerciante di veicoli della città, A. figlio di un avvocato della città, S., Cacò, R., lo Squalo, B., Sughillo, Cicoria, le ratte, il P., M. da Pizzoli semi skin head con simpatie per Benito, varie coppie di fratelli e gemelli, qualche ragazza caruccia accoppiata con qualcuno dei suddetti e non. La cosa che accomuna il quaranta per cento di noi e` la musica. A. R. e` il creatore in Italia di una delle più importanti riviste di heavy metal : Metal Caos. Assieme a lui C. C. che in molti oggi conoscono come organizzatore di molti Gods of Metal nonche` creatore del Metallica fan club e amico personale della band americana. Quando vado a trovare la prima volta A. a casa, rimango sbalordito: ci sono i demo originali di centinaia di band, oggi considerate storiche per il genere: Metallica, Exodus, Slayer, Testament, Morbid Angel. A. ha delle novità incredibili, compra decine di dischi al giorno e decine di vinili gli arrivano gratis da tutte le case discografiche del globo. A questo si unisce una sua innata disponibilità a farti ascoltare tutto quello che vuoi. M.S. e` un ombroso studente di Pizzoli, con una renault 5 vecchio tipo, con uno stereo dentro, noto per l`assenza totale delle frequenze basse. L`effetto che ne ottiene, ascoltando anche il rock più melodico, è quello di una motosega oliata male, data contro un palo del divieto di sosta. M. ama i Venom, riesce a scorgere nel loro modo di suonare anche degli sprazzi di tecnica musicale. Ama soprattutto il loro bassista, Cronos. Altri gruppi da lui preferiti sono Bathory, Agnostic Front, GBH, Slayer, Voivod. Andiamo subito d`accordo. Perchè non lo so, ma e` così, dato che lui è un ultra fascista e io sono uno della sinistra maoista con tendenze pol pottiane. Avvengono in questo periodo, le famose missioni di acquisto a Roma presso Revolver dischi, a Porta Portese, centrale dell`acquisto per i metallari dallo stato pontificio in giù. In particolare e` da ricordare un pomeriggio storico con l`acquisizione di alcuni vinili fondamentali tra i quali “Spreading the disease “ degli Anthrax, “ Bonded by blood” degli Exodus, e soprattutto “Speak English or die” degli S.O.D. In quell`anno escono dischi come “ Reign in blood” degli Slayer “Killing Technology” dei Voivod , “Taking over” degli Overkill, “Master of puppets” dei Metallica e soprattutto “ To mega Therion” dei Celtic Frost e “Orgasmatron” dei Motorhead due dei miei gruppi preferiti. Iniziamo immediatamente una mole di ascolto considerevole, se unita ai demo ed ai dischi che A. ci fornisce continuamente e agli acquisti industriali di S. D`. un altro della compagnia dedito soprattutto alla raccolta di figa. S. e` il creatore di una fanzine dal titolo “Stonehenge”, anch`egli in contatto con vari fanzinari e giornalisti abruzzesi e nazionali. Ha una passione smisurata per i Kiss. Possiamo dire che in quel “periodo d`oro” io e M. riusciamo ad ascoltare anche 15-20 dischi al giorno. Di quell`anno e dell`anno dopo saranno due uscite editoriali importanti per il metal italiano la nascita del mensile HM per l`86 e di Metal Shock per l`87. Tutti i giornalisti sono amici e conoscenti di A.R. e questo inizia a farci camminare la testa…(Continua nel prossimo post).

domenica 22 marzo 2009

At war with Satan


Domenico è rosso di capelli ed è un tirchio del kazzo. Domenico è stato a vedere i Venom e gli Exodus a Roma e io sono invidioso. Ci frequentiamo durante tutto l`ultimo anno di liceo, pensando di mettere su un gruppo heavy metal dai connotati dark sinfonici. Domenico ha un fratello, Mauro, che suona il pianoforte che diolamandi e va in giro con i guanti anche l`estate per paura di rovinarsi le mani. A 17 anni non ho neanche la chitarra elettrica buona. Ne ho comprata una in un vecchio negozio di Ortona, quello di Pettinefino, la nascondo sotto il letto, perchè papà non vuole , perché, dice lui, debbo pensare a “le cose serie della vita“. Per me l`unica cosa “seria” della vita è stata , è e sarà per sempre, Elvis. Così mi faccio prestare la chitarra da Andrea, il mio compagno di banco, che ascolta gli Slayer e Michael Jackson, in un turbinio di accordini funk e dissonanti da non capirci un kazzo. Domenico inizia a propormi il suo concetto di un heavy metal, misto a stacchi sinfonici, che il fratello Mauro registra in chiesa mentre lui distrae il prete. A quei tempi inizio ad indossare sfacciatamente una magliettina dei Venom con una testa di caprone rossa, su un pentacolo rovesciato e sotto la scritta “Look at me Satan child, born of evil, Thus defiled”, corredato da una collana con croce capovolta ed un cinturone con le borchie. Non mi rendo conto che in città, qualcuno mi inizia a guardare con l’intenzione di gettarmi dell’acqua santa addosso. Così con la mia chitarrina mi metto sulla SS 16 affinchè qualche buon uomo mi dia un passaggio per salire a Tollo a fare le prove. Dopo due ore di pollice alzato inutilmente, forse mi rendo conto che l’abbigliamento non è proprio adatto a stabilire atteggiamenti di empatia, con i camionisti. The Hitcher è stato girato pensando a me. Alla fine mi inchioda davanti ai piedi, una 124 color verde merda di lumaca, con un tipo che sembra uscito dal forno della porchetta. Una maglietta bianca impataccata, si lacera sotto le generose forme del bifolco, il quale custodisce gelosamente incastrati, tra il bicipite e la manica della maglietta, un pacchetto di nazionali con l’accendino. “Cumpà, a da ij’ a Tolle?“. Salgo senza rispondere. Faccio una delle più grandi kazzate della mia adolescenza. La 124 del truzzo è stata modificata in laboratorio per raggiungere i 240. Me ne rendo conto quando entro dentro questa specie di motozappa nucleare. Lasciando intatti gli interni in plastica marrone, un volante simil rally è tutto quello che rimane di un cruscotto con tachimetri, contagiri, misuratori, led radio con vecchia cassetta di Nino D’Angelo e Arbre Magique al profumo di cozza. La prima curva viene affrontata ad una velocità nominale di 130 km orari. Il verro cheè alla guida, come per accompagnare la guida di un sidecar da corsa, attacca la mano sul tetto della macchina, a spostare il proprio peso. I pochi km che dividono l’Adriatica da Tollo, sono il martirio del mio stomaco. “Cumpà, che ti’ stii’ a ffà ’sotte?” Sembro Pozzetto in “Sono fotogenico”. Bianco come un cencio, vengo depositato in via Perruna, onde poter vomitare il pranzo. Riesco a raggiungere casa di Domenico, dove è già in corso la riunione per decidere il nome della band. In maniera molto democratica i fratelli musicisti optano per “Graveless”, dopo aver consultato un vecchi Hazon Garzanti. C’è un altro problema da risolvere. Non abbiamo sala prove. Per il momento, basta un vecchio pollaio per metter su un po’ di accordi. Ci sono vecchi amplificatori a valvola isolati male, anche l`impianto elettrico di quella specie di stalla è un cesso, c’è il rischio di fare la fine di Keith Reilf, cantante degli Yardbirds inglesi, morto, durante un temporale, mentre suonava a casa in ciabatte. Non voglio morire in ciabatte , I wanna die with my boots on! Come direbbero i Maiden. Partiamo con una serie affilata di gig che farebbe appendere la chitarra al chiodo anche a Van Halen, non per la nostra bravura , ma per il pericolo di suonare in quelle condizioni. E`un pomeriggio di inizio estate. L`aria è satura di odore pretemporalesco e noi siamo accalcati, nell`antipollaio di questo pollaio, in piena campagna tollese. C`è un vaga puzzetta di culo di gallina, dato che un cancelletto, ci divide dal luogo abitato dagli stupidi volatili. Il batterista vende pezzi di ricambio e ha intuito subito, dato il suo retaggio prefolk liscio, che il thrash è solo una polka al triplo della velocità. Suoniamo beati una sorta di introduzione al brano “Triumph of evil”, Domenico si avvicina al microfono, collegato a questo amplificatore che ha tutta l`aria di un Montarbo passato sotto una frana. Il contatto delle labbra di Domenico con il microfono, chiude il circuito facendo partire una scossa che lo rende cieco per venti minuti. Nella concitazione, mi cade il plettro. Nel momento in cui tocco con le dita il pavimento della stalla, per raccorglielo , una botta di corrente mi proietta verso dietro sollevandomi da terra, cado, riuscendo, fortunatamente a staccare il jack con il mio corpo.. E` il panico generale. Allungato per terra, riesco solo a vedere l`occhio di una gallina dal recinto vicino che assiste alla scena. Stasera pollo.

martedì 17 marzo 2009

Confessioni di una mente pericolosa 1 (Poemi dell'hashish)


Prefazione

Inizio qui una serie di racconti, riguardanti alcune avventure che ho avuto l'onore/disonore di vivere, durante gli anni della prima giovinezza, in ambienti universitari e non. I miei complici, qualche anno fa, hanno pubblicato un libro sulle vicende. Io vorrei completare la cronaca. Vi prego di continuare ad apprezzare la mia persona, anche dopo aver letto le storie che scorreranno sul mio blog in queste settimane. Lo so, tutte le prove saranno usate contro di me, ma di questi tempi, qualcuno potrebbe trovare sollievo al solo pensiero che protagonista di queste storie non sia stato egli stesso.


Qualche scapigliato nordeuropeo, di quelli ricchi che, non avendo un kazzo da fare, ha dedicato la sua vita gli abusi ed alle lettere, ha sublimato il consumo delle droghe attraverso il resoconto di esperienze sotto l`effetto delle stesse. Nonostante l`effetto talvolta, innegabilmente piacevole del consumo di cannabis e suoi derivati e per mia fortuna non conoscendo gli effetti degli oppiacei, della coca e delle droghe di sintesi, devo dire che questi kazzoni, hanno idealizzato ai giovani un mondo, che tutto sommato avrebbe potuto essere sostituito, da banchetti di alta qualità e da un forte consumo di gnocca. La topa non ha controindicazione ed e` linguaggio universalmente riconosciuto, anche se i pericoli del culo, ultimamente, fuorviano il giovane, intimidito da femmine sempre più aggressive. Così per essere normali, anche noi all`epoca, abbiamo dato valenza artistica a pratiche altrimenti da curva sud laziale. La lettura di Baudelaire, Mallarmè, Verlaine e Benjamin, ci spinge a tentare una strada pecoreccia, tipo acid test americani. Ci riuniamo quindi nella mia stanzetta di via XX settembre, per consumare smodatamente dell`hashish, tenendo a secco un nostro amico ,tale R., il quale viene costretto a registrare i nostri discorsi e le nostre sensazioni, sotto l`effetto della cannabis. Io, G., C., B., uno dei fratelli C., R. ci ammucchiamo per terra, mentre il F. tiene il taccuino. L`esperimento presenta notevoli spunti, tanto che alcune frasi storiche vengono coniate e lasciate ai posteri da questa importante seduta. Nostro nume tutelare e` il compianto Chuck Shuldiner, leader dei Death, autore di una intervista su di una nota fanzine svedese o norvegese. Il motto coniato dallo Shuldiner e` contenuto nella risposta alla domanda che l`intervistatore, l`altro compianto Hyeronimous leader dei Mayhem gli pone. “What about your next projects?” chiede H. e Chuck lapidariamente risponde: “ To find a long blond-haired woman who suck my cock and let me shoot my cum into her mouth and all over her face!”. Forti di questi principi, affrontiamo la serata pieni di iniziativa, ma la qualità del fumo ed i percorsi linguistici, ci fanno prendere una piega diversa. C., in crisi con la sua ragazza, a causa nostra e delle nostre notti brave, incomincia ad avere manie di gerontofilia, monopolizzando il suo pensiero sulla mia governante ottantaquattrenne che dorme nell`altra ala dell`edificio. Intuiamo subito il pericolo, senza un`azione di forza, già mi vedo cacciato da casa con l`accusa di stupro di anziana. C. di colpo, brandendo senza motivazione un mio rasoio usa e getta, imbocca la via delle scale per andare verso la camera della vecchia, urlando a gran voce le sue intenzioni sessuali o depilatorie. Lo raggiungiamo a pochi metri dalla stanza e lo solleviamo tappandogli la bocca, trovando l`uscita e la mia salvezza. Giunti in piazza, la sua follia bulbicida non si ferma. Aizzato dagli altri e dalla mia nota insensibilità al dolore, sotto l`effetto di alcol e fumo, inizia a fare apprezzamenti negativi sul modo nel quale mi rado di sovente. Il dissenso monta, si amplifica, si trasforma in disapprovazione. Vengo afferrato da quattro energumeni. Sotto gli occhi di gruppi universitari, in una sera non eccessivamente tarda, al centra della piazza del Capoluogo regionale, il C. , mi rade a secco in maniera approssimativa e criminosa, urlando frasi sconnesse circa la missione igienica dei barbieri. Il mio dimenarmi fa si che la rasatura non sia nè regolare nè precisa. In poche parole, la mattina dopo mi presento all`università, senza la barba da un lato, con un baffetto alla Hitler e con numerose ferite di arma da taglio sul volto, suscitando forte ilarità tra i convenuti presso l`aula di disegno all`ultimo piano. Della serata esiste un testo ed un cartellone scritto che gelosamente conservo.

giovedì 12 marzo 2009

La comunanza


C’è questo pomeriggio che fa rima con maggio. Faccio un conto dei pomeriggi che ricordo di più: sono quelli di maggio. Non me ne frega un cazzo di Nanni Moretti, probabilmente è questa cover di Starless two dei King Crimson rifatta da Craig Armstrong ,che sto ascoltando. Dicevo di questo pomeriggio. Tengo per mano mia moglie. E’ strano tenere per mano le mogli, nei racconti. Le mogli sono troppo ordinarie, di solito, per essere raccontate nei libri. Ma io, mia moglie, la tengo forte, per mano. Siamo sull’affaccio della Chiesa di san Miniato, a Firenze. La spalla mi fa male. Porto due macchine fotografiche e il cavalletto. Ci sediamo nel silenzio di quell’altezza, in lotta con il lontano vibrare di una città, tesa sotto una leggera foschia gassosa. Abbiamo fame. Forse l’odore di cripta gotica di quella chiesa poco frequentata da turisti pigri o la bottega dei frati, piena di finti amari, e liquirizie in svariate guise. Iniziamo a scendere la scalinata stretta fra cespugli che sporgono dalle villette sui lati. Alla fine delle scale c’è un’osteria. Chianti e lardo soffritto. Atterrano i nostri stomaci, pieni di arti e visioni. Di fronte a noi, al nostro appagarsi di bisogni primari e cartoline, sulle ultime scale, un ragazzo pallido, malridotto, si è levato delle vecchie scarpe da ginnastica, mettendo in mostra piedi sporchissimi e rovinati. Caccia dalla tasca una bella siringa e se la ficca con sicurezza nella vena sul dorso del piede. Capisco che la vastità dell’ingegno umano nelle opere di Firenze, può essere abilmente superata dal contenuto di quella iniezione. Metto in bocca, l’ultimo pezzo di pane bagnato in quel soffritto, realizzando che non lo cambierei neanche io, in quel momento, con qualsiasi visita guidata. In questo pomeriggio di maggio, mi interrogo sulla natura e sulla comunanza delle dosi.

martedì 3 marzo 2009

La gamba di Nonno Pietro

Cazzo! Sta`strada si muove! -
Nonno Pietro aveva fermato il camioncino. Si aggiustò il cappello, scese di fretta, il tempo di sentire le ruote scricchiolare, sotto quel
la ghiaietta indecisa. La strada , in effetti, sembrava fatta di segatura. Una scorciatoia per andare dalla Penna a Villa Santa Maria, costruita dai contadini, sulla frana. Era così insicura che si potevano vedere I sassi cadere a monte, rimanendo fermi ad osservare il colle per pochi istanti. Intanto il camioncino si inclinava piano piano, con la ferma intenzione di arrivare fino a valle, se nonno Pietro non si fosse deciso a proseguire. Le casse delle gazzose, facevano un leggero tintinnio ad ogni strattone della terra. - La prossima volta mi tocca passare per la Stazione di Bomba!- Nonno Pietro, salì di fretta sul camioncino. Il motore fece due rantoli di disapprovazione e spostò il carico dall`altra parte della strada, quella buona. Nonno Pietro era un omone grosso e pelato alto quasi due metri per essere un meridionale, ma sicuro di uno stazza che proveniva da una stirpe di federiciana memoria. Aveva mani sproporzionate per grandezza, ma ancora più impressionante era l`utilizzo delle bestemmie, quale interiezione tra una parola ed un silenzio. Era così aduso a sacramentare che, quando scriveva al fratello, lontano in America, metteva le bestemmie anche nel testo della lettera. Al contrario soffriva quasi di una devozione bigotta ed ancestrale per le forme esteriori della religiosità, quasi a volersi scusare per la sua blasfemia. In particolare univa la superstizione alla più rigorose pratiche di rispetto per Santi, Beati e vergini di varia natura. La moglie Requilde, una piccola ed ossuta speziale lo guardava paziente nei suoi attacchi di collera, specialmente quando, a sera, gli toccava levare le garze dalla sua gamba, per la medicazione quotidiana. Quella gamba, ridotta come un abbacchio appena scuoiato, era stata un regalo della campagna d`Africa. A cinquant`anni suonati, Nonno Pietro, fascista convinto, si era messo in mente di partire volontario. Era stato beccato durante un`imboscata, gli avevano sparato ad una gamba ed era riuscito a trascinarsi fino ad un cespuglio, dove aveva trovato salvezza e riparo, per tutta la notte. In un doloroso deliquio, non avendo con se stracci o bende per poter fasciare la ferita, aveva trovato delle grosse foglie che potevano bastare a proteggergli la coscia. Aveva beccato una rarissima pianta anticicatrizzante. Ormai erano anni che quella ferita era aperta. Ogni sera un calvario per Nonna Requilde, che lo lasciava solo durante la medicazione. Per Nonno Pietro, sbendare la ferita, ricordarsi di quel giorno e ripassare tutti I santi del calendario ad alta voce era un attimo. Nonna aspettava fuori dalla porta. Quando il fiume di improperi si era calmato, Requilde entrava piano in camera dove intanto Pietro si era addormentato. Dalla garza lavata e rilavata più volte dalla Nonna ed assicurata nuovamente intorno alla gamba di Pietro, cominciava a riemergere inesorabile, una leggera macchia di sangue. Poi, tutto precipitò a poche settimane da quel giorno come tanti altri. La gamba che era rimasta un ricordo tangibile ma stabile dell`ultima guerra, iniziò ad infettarsi. Il Dottore del paese, don Lele Fantini, lo visitò una sera e volle parlargli: - Pietro, la gamba e` da amputare!- - Amputa` lu`kazze!- rispose Pietro. - Dotto`, cosa ha detto nostro Signore? Che nel giorno del giudizio, bisogna uscire interi dalla proprie tombe per essere giudicati al cospetto di Dio! Gna` kazze `ci vaje davanti all`onnipotente senza na`cosse? Sta` cosse je` lu me` e con me deve venire all`altro mondo! - Inutile fu per il Dottore convincere Pietro della necessità di amputare l`arto, per cui don Lele pensò di convincere la moglie ad effettuare l`operazione con l`inganno, dato che vi era in gioco la vita di Nonno Pietro. Il giorno dopo, il Dottore con la scusa di somministrare un medicinale a Pietro, lo narcotizzò e potè effettuare l`operazione. Era ancora lì don Lele, che stava pulendo I ferri, e rimettendo a posto ogni cosa. La gamba era sul davanzale avvolta in un panno di lino, come un prosciutto, che Nonno Pietro aprì gli occhi. L`anestesia non particolarmente forte e la fibra del vecchio, avevano consentito un rapido risveglio, sufficiente perchè Pietro si rendesse subito conto dell`accaduto. Come una furia incontrollata, dal suo letto, Pietro aspettò che il Dottore si fosse avvicinato per prenderlo per il collo e minacciarlo: - Aredamme` la `cosse!- urlava il Nonno - Aredamme la` cosse senno` t`accide! -. Solo dopo che il vecchio ebbe l`arto sotto il suo braccio, lasciò la presa dal collo del Dottore, il quale, non appena fu liberato, scappò dalla stanza urlando. Per qualche giorno, Pietro, tenne la gamba nell`ultimo cassetto del settimino. Poi, con l`aumentare del cattivo odore, Requilde decise di chiamare il parroco, affinchè convincesse Pietro a seppellire, quel moncone ingombrante e fetoso. Fu difficile da parte di Don Eustachio, convincere Pietro, tanto che il vecchio pretendeva che si facesse un funerale speciale per la sua gamba. - Sa`cosse` da`pije li` Sacramiente`- continuava a ripetere al parroco, tanto che Don Eustachio fu costretto ad organizzare una sorta di rito posticcio, con tanto di aspersorio, affinchè Nonno Pietro si convincesse della regolarità delle esequie. Fu chiamato Mastro Armando, il falegname, perchè si costruisse una bara della misura della gamba. Così molti si affacciarono alle finestre delle case vicine, quando uscì la processione, con il parroco, Nonno Pietro sul carretto, nonna Requilde e I tre figli, tutti al seguito di Merdone, sfossamorto comunale sordomuto e scemo del paese all`occorrenza, con sulla spalla la piccola cassa di noce, nella quale vi era custodita la gamba. L`arto fu inumato nel loculo della cappella di famiglia, loculo già prenotato come dimora eterna da Nonno Pietro. Così, ogni fine settimana, il vecchio andava a ”recare omaggio” alla sua gamba che nella morte lo aveva preceduto, fermandosi sulla lapide a pregare. Sul granito vi era scritto: “Pietro Cenci di lui più lesta, giace qui la gamba”

Ma il tempo fu inesorabile. Nonno Pietro cadde , negli ultimi mesi di vita, in un stato di incoscienza ed immobilità, tanto che non riuscì più ad andare a trovare il suo arto al cimitero e a vedere I lavori di restauro della cappella, messa in pericolo dal cedimento della costa della montagna vicina. I lavori si fecero in sua assenza. A capo della squadretta di muratori di un paese limitrofo c`era Mastro Sino, un uomo capace di bere nelle giornate più faticose anche una damigiana di rosato da quindici. Era stato a lavorare nel Mato Grosso ed in Francia e si diceva potesse alzare, da giovane, un muro perfettamente a piombo posando I mattoni con I piedi. Ultimamente la cataratta ma soprattutto il vino, avevano preso il sopravvento e si limitava a dirigere I giovani dipendenti, prendendoli a schiaffi dietro la nuca, quando riusciva ad averli a tiro. Un carattere spigoloso, burlone e sbrigativo completava il quadro. Non appena mise mano alla Cappella di Nonno Pietro, si dovette procedere allo sgombero delle casse di antenati e trisavoli. Ma quando aprì la lapide del non ancora defunto, vi trovò dentro la cassetta. Tra la sorpresa generale, Mastro Sino, aprì il coperchio e sbottò in un grassa risata -` OppelaMajelle! Ma chi je` ssta cose `ntisichite? - In effetti, con il tempo la gamba aveva assunto l`aspetto di un arto scolpito malamente nel legno, tanto era indurito ed annerito. La gamba era fossilizzata e Mastro Sino credette ad uno scherzo degli operai. Decise, quindi, di sotterrare la reliquia con l`assistenza di Merdone. La piccola bara fu sotterrata nello spazio di sepoltura comune, dove non esistevano ne` croci ne` lapidi a ricordo dei defunti più poveri o sconosciuti. Quando dopo settimane, il restauro fu compiuto, venendo a mancare Nonno Pietro, si procedette all`inumazione, terribile fu la sorpresa dei parenti nello scoprire che la gamba della buonanima era scomparsa. Nonna Requilde cadde come un sacco morto dopo aver esclamato - O Aneme de`lu Pregatorie! - portandosi a terra una fila intera di cugini . Si sprofondò tutti nella disperazione più grossa, pensando a quanto aveva fatto Nonno Pietro perche` la sua gamba lo seguisse nell`aldilà. Per giorni si chiese in giro se c`erano stai movimenti strani intorno al cimitero e gli unici indiziati risultarono essere gli operai che avevano lavorato al restauro della cappelletta di famiglia. Mastro Sino che all`inizio aveva pensato alla gamba come ad uno scherzo, quando si rese conto della verità, disse che non aveva visto niente per paura che la sua iniziativa di dare una sepoltura a quell`affare rinsecchito si trasformasse in accuse pesanti. Il figlio maggiore di nonno Pietro, Peppino, col passare dei giorni e delle settimane, si rassegnò alla perdita di una parte del padre, tentando di non pensarvi più. Tornarono I pensieri, peggio di prima, quando iniziò a sognare Nonno Pietro. Stava davanti ad un enorme portone, voleva entrare ma due angeli a custodia gli dicevano ` ti manca una gamba sei destinato all`Inferno!- Si svegliava regolarmente e regolarmente raccontava il sogno alla moglie Elodia, che trasformava la storia in numeri da giocare al lotto. I numeri si dimostrarono vincenti non una volta sola, ma ogni volta che I sogni su Mastro Pietro venivano trasformati in numeri da giocare La cosa strana e` che all`angoscia per il padre che veniva sognato nelle situazioni più disperate, come una povera anima vagante nel limbo, Peppino contrapponeva la soddisfazione per le piccole ma continue vincite al lotto. E queste vincite cadevano a fagiolo, perchè Peppino non navigava in buone acque. Era ormai arrivato a racimolare un bel gruzzoletto grazie all`attività onirica, quando una sera si presentò Merdone. Si era ricordato dove Mastro Sino gli aveva fatto sotterrare l`arto e con gesti a metà tra il linguaggio dei sordomuti e quello degli scemi, gli aveva fatto capire di aver dissotterrato la gamba e di aver rimesso vicino alla salma del povero Pietro la parte mancante. Da allora Peppino, forse condizionato da quanto accaduto non aveva più sognato il padre e di conseguenza non aveva più racconti che avrebbero potuto essere trasformati in numeri vincenti, tanto da dover ritornare a stringere la cinghia, fino ad arrivare alla rovina economica. Almeno fu questo il racconto che fece al Brigadiere, durante l`interrogatorio dopo l`arresto, per essere stato “ colto in fragrante, in orario notturno, nell`area cimiteriale, mentre tentava di sotterrare un arto umano mummificato nel terreno di sepoltura comune”.